Battaglia atomicaCos’è la tassonomia e perché divide Consiglio e Parlamento Ue

I governi dei 27 Stati membri sono divisi sulla proposta della Commissione di includere l’energia nucleare e il gas fra gli investimenti sostenibili, e renderne facile il finanziamento, per sostituire impianti di produzione più inquinanti, come quelli obsoleti o alimentati a carbone. Francia e Germania sono fronti opposti

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È solo una bozza, ma ha già ottenuto l’effetto di dividere l’Europa. L’atto delegato sulla tassonomia inviato dalla Commissione europea agli Stati membri il 31 dicembre è da giorni al centro del dibattito comunitario e probabilmente ci resterà a lungo. I governi nazionali hanno tempo fino al 12 gennaio per presentare le proprie valutazioni, poi il testo sarà presentato ufficialmente e sottoposto al voto di Consiglio e Parlamento europeo. L’approvazione, però, non è scontata: diverse le posizioni critiche per l’inclusione del gas naturale, e soprattutto dell’energia nucleare, fra gli investimenti ritenuti sostenibili.

Nel 2020 gas e nucleare hanno rappresentato rispettivamente il 25% e il 20% della produzione di energia nell’Unione europea e la Commissione le ritiene «energie di transizione» necessarie per un approccio pragmatico agli obiettivi del Green deal, il piano per azzerare le emissioni nette di gas serra dell’Ue entro il 2050.

Gli investimenti in queste fonti potranno dunque rientrare nella tassonomia europea, cioè la classificazione delle attività economiche che possono essere definite «sostenibili» stilata dall’Ue. Gli atti delegati sono fondamentali nel processo, perché definiscono i criteri e le soglie entro cui un’attività è considerata eco-compatibile. Quelle che vi rientrano saranno presumibilmente più appetibili per gli investitori, che in tutto il mondo stanno mostrando di apprezzare i titoli sottoposti agli standard di sostenibilità ambientale.

I progetti legati gas e nucleare sono però inclusi per un periodo di tempo ristretto e a patto di rispettare determinate condizioni: secondo la legislazione europea, infatti, tutto ciò che è compreso nella tassonomia deve seguire il principio «Do no significant harm» (Dnsh), cioè non produrre un danno significativo agli obiettivi ambientali dell’Unione: mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, protezione delle risorse e degli ecosistemi naturali, controllo dell’inquinamento e promozione dell’economia circolare. 

Nello specifico, sono concesse tre diverse tipologie di attività economiche per il nucleare e altrettante per il gas. Nel primo caso si tratta delle fasi cosiddette «pre-commerciali» della produzione nucleare: ricerca, sviluppo e messa in atto delle nuove tecnologie, che comportano un quantitativo minimo di scorie nucleari. Autorizzata pure la costruzione di nuovi reattori che utilizzino le migliori tecnologie in circolazione, per la produzione di elettricità, calore e idrogeno: per rientrare nella classificazione, il permesso di costruzione di questi impianti dev’essere rilasciato dalle autorità nazionali entro il 2045. Infine, può essere considerata sostenibile anche la produzione di elettricità dalle centrali esistenti, a patto che gli investimenti per estenderne il funzionamento vengano autorizzati entro il 2040. 

I progetti nucleari devono inoltre prevedere un fondo per lo smaltimento dei rifiuti di produzione e per lo smantellamento, così come delle destinazioni finali per le scorie: a quelli autorizzati dopo il 2025 servirà pure un piano dettagliato che menzioni un deposito per i «rifiuti ad alto livello di radioattività», da rendere operativo entro il 2050. 

Il gas naturale rientra invece nell’etichettatura sostenibile quando è utilizzato per generare energia elettrica, produrre in sistemi ad alta efficienza energia e calore, o nei cosiddetti «distretti di tele-riscaldamento o raffreddamento», particolari sistemi di distribuzione di calore nelle condutture. Saranno classificati solo gli investimenti in quei siti produttivi all’avanguardia, che generino meno di 100 grammi di CO2 per chilowattora: solo fino al 2030 è concessa una deroga per la costruzione di centrali elettriche a gas con produzione massima di 270 grammi di CO2 per kWh o con una media annuale di 550 chili di CO2 per kWh, calcolata su 20 anni. 

Altri requisiti per gli impianti a gas sono la riduzione delle emissioni nella sostituzione di una struttura precedente e la compatibilità con altri carburanti: ogni sito dovrà bruciare il 30% di gas rinnovabili o a emissioni più basse (come i biogas) a partire dal 2026, il 55% dal 2030 e il 100% entro il 2035, comportando di fatto una sostituzione completa della fonte energetica.

La logica adottata dalla Commissione è quella di concedere un’etichetta green a gas e nucleare e renderne così più facile il finanziamento, con la speranza di sostituire impianti di produzione più inquinanti, come quelli alimentati a carbone o quelli obsoleti.

 Il compromesso fra obiettivi ambientali e necessità energetiche avanzato dall’esecutivo europeo Commissione è stato però criticato da più parti in ambito comunitario. Lo hanno attaccato sia le associazioni ambientaliste che l’Organizzazione dei consumatori europei (Beuc), per cui sarebbe un’inaccettabile autorizzazione al greenwashing istituzionalizzato. Persino un gruppo ristretto di esperti del Teg (Technical Expert Group). il comitato chiamato a redigere i criteri della tassonomia, ha diramato un appello per escludere il nucleare.

L’atto delegato della Commissione, comunque, non potrà essere modificato dalle altre istituzioni europee, ma solo approvato o respinto in blocco. Per rifiutarlo è necessaria la maggioranza assoluta in Parlamento europeo (353 deputati su 705) o la maggioranza qualificata rinforzata in Consiglio, cioè il 72% degli Stati membri con almeno il 65% della popolazione complessiva.

Si tratta di una soglia difficile da raggiungere, anche se diverse capitali di peso si sono espresse contro la proposta, in particolare contro l’etichettatura sostenibile della produzione nucleare. Già a novembre, durante la Cop26 di Glasgow, cinque Paesi dell’Ue avevano chiesto formalmente una tassonomia senza energia atomica: Germania, Austria, Lussemburgo, Portogallo e Danimarca.

Il governo più combattivo sembra quello di Vienna, la cui ministra per l’Energia e il Clima Leonore Gewessler ha perfino minacciato azioni legali contro la decisione. Più sfumato l’approccio tedesco: Berlino ha fissato lo spegnimento di tutte le sue centrali entro il 2022, ma il nuovo esecutivo guidato da Olaf Scholz potrebbe comunque dare il via libera alla tassonomia. La ministra dell’Ambiente Steffi Lemke ha sì definito sbagliata la decisione di includere il nucleare, ma in una recente intervista ha pure evidenziato la difficoltà di rigettare la proposta nel suo complesso, data la posizione favorevole sull’inserimento del gas. 

La phase out dalla produzione nucleare è già stata programmata pure da Belgio (entro il 2025) e Spagna (2035). Proprio da Madrid è arrivato il netto rifiuto alla classificazione tassonomica proposta dalla Commissione, che secondo la ministra alla Transizione ecologica Teresa Ribera è «un segnale sbagliato» per i mercati finanziari.

Sono molti però anche i Paesi favorevoli a questa tassonomia, proprio perché comprensiva dell’energia nucleare. C’è la Francia, lo Stato europeo con più centrali attive (56), che grazie a questa fonte produce quasi il 70% del proprio fabbisogno elettrico

Ma non solo: altri nove governi nazionali si sono apertamente schierati per l’opzione nucleare nei mesi scorsi. A ottobre è apparso su alcuni quotidiani europei un editoriale co-firmato, oltre al francese Bruno Le Maire, dai ministri di Economia ed Energia di Bulgaria, Croazia, Cechia, Finlandia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia.

In misura diversa questi Paesi possiedono reattori attualmente in funzione e in alcuni casi hanno anche in programma di ampliare la propria dotazione. Come si legge nell’articolo, «è vitale che l’energia nucleare sia inclusa nella tassonomia verde», perché rappresenta una delle armi migliori per decarbonizzare l’economia e aiuta a ridurre la dipendenza energetica dall’estero. Il voto favorevole dei dieci governi «nuclearisti» annullerebbe ogni possibilità di raggiungere una maggioranza qualificata rafforzata contraria alla proposta.

Se l’aritmetica del Consiglio rende difficile una bocciatura, qualche spiraglio arriva invece dal Parlamento europeo, in cui basta la maggioranza semplice degli eurodeputati per respingere l’atto delegato. Fermamente contrario all’inclusione di gas e nucleare è il gruppo dei Verdi/Alleanza Libera per l’Europa, che reputa la scelta «contraddittoria» rispetto agli obiettivi del Green Deal europeo, già ribattezzato «gas deal» dal relatore della tassonomia al Parlamento, l’olandese Bas Eickhout.

«Contestiamo l’impostazione di base: in sostanza si dice che un investimento è sostenibile, quando non è così», afferma a Linkiesta Eleonora Evi, eurodeputata e co-portavoce nazionale di Europa Verde. «Assegnare l’etichetta verde a queste attività significa togliere risorse a quelle che sono davvero sostenibili, cioè la produzione di energia tramite fonti rinnovabili». 

Sullo stesso fronte si schiererà probabilmente il gruppo della Sinistra, il cui co-presidente Martin Schirdewan ha definito la proposta di tassonomia «un passo indietro nella transizione energetica» e un regalo alle grandi aziende del settore. Per respingere la proposta saranno però decisivi i voti di tutta la parte progressista dell’Eurocamera, considerando il peso del gruppo dei Socialisti&Democratici (145 seggi) e dei liberali di Renew Europe (101). Le due famiglie politiche non hanno ancora preso posizione sul tema e il dibattito interno alle delegazioni nazionali si annuncia complesso.

Secondo Eleonora Evi, infatti, è probabile che in questo caso gli eurodeputati dei partiti che sostengono la maggioranza in patria si accodino alle posizioni dei rispettivi governi, frammentando così i gruppi dell’emiciclo. «Mi aspetto il supporto di tanti colleghi dei Paesi contrari al nucleare, come Austria, Spagna e Germania. Non escludo che votino contro anche diversi esponenti del Partito popolare europeo: l’energia è una questione di grande interesse a livello nazionale».

Ancora priva di un orientamento definito è l’Italia, che non produce energia da nucleare ma dipende dal gas naturale per circa il 40% dell’elettricità consumata. Il nostro governo avrebbe stretto un accordo «sottobanco» con la Francia per sostenere l’inserimento del nucleare in cambio di quello del gas naturale, secondo l’accusa di Evi. Dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sono arrivate in passato aperture significative alla produzione tramite «nuove tecnologie nucleari», ma non una chiara presa di posizione su quelle attuali. 

Di parere opposto fra loro sono poi le due sottosegretarie del Mite, intervistate di recente dal quotidiano La Stampa: Vannia Gava della Lega, propensa all’utilizzo dell’atomo, e Ilaria Fontana del Movimento Cinque Stelle, contraria. Le loro dichiarazioni rispecchiano la postura dei rispettivi partiti, entrambi parte dell’esecutivo di Mario Draghi, che a breve sarà chiamato a prendere una posizione chiara in Europa. 

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