Obiettivi globaliPerché nei discorsi sull’ambiente bisogna considerare di più l’Africa

Entro il 2050 un abitante del mondo su quattro sarà africano: ed è solo uno dei dati per cui dovremmo iniziare a coinvolgere e valutare seriamente il continente negli sforzi planetari per la transizione ecologica

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Da qualche tempo sembra in crescita la consapevolezza che il continente africano sarà sempre più importante per le nostre vite e per la salute del pianeta che ci ospita. In un report pubblicato l’anno scorso dall’Agenzia Internazionale dell’energia, per esempio, si legge che «il modo in cui il sistema energetico africano si evolverà nei prossimi vent’anni, e come sarà nel 2040, sono questioni di vitale importanza non solo per l’Africa ma anche per il resto del mondo». 

Secondo diversi esperti l’Africa ha oggi un’opportunità unica: crescere economicamente molto in fretta, ma anche puntare su uno sviluppo molto meno legato alle emissioni di CO2 in atmosfera rispetto a quanto non sia successo altrove. Ma prima ancora dell’economia in crescita che è già evidente visto che alle prime tre posizioni dei paesi al mondo il cui Pil cresce più velocemente ci sono solo stati africani c’è la demografia. 

Qualche dato per capire da dove viene la crescita dell’Africa: oltre la metà dei 54 stati del continente vedrà la propria popolazione raddoppiata entro il 2050. Nello stesso anno si prevede che almeno il 25% della popolazione, cioè una persona su quattro, sarà africana. Nel 1950 era meno del 10%. Una crescita demografica così veloce è senza precedenti. Nello stesso lasso di tempo di 100 anni la popolazione dell’Asia sarà cresciuta di sei volte, quella dell’Africa di dieci.

L’Africa, già oggi, è un continente giovanissimo. L’età mediana è di circa 19 anni (pensate che in Italia è di oltre 47) e andrà a diminuire ancora. Il demografo Richard Cincotta ha chiamato questo fenomeno, più unico che raro in questo periodo storico, “giovinezza cronica”. Il 40% di tutti gli africani ad oggi sono bambini sotto i 14 anni. Nel prossimo futuro questo fenomeno sarà sempre più impattante. Se nel decennio 2020-2029 le madri africane metteranno al mondo 450 milioni di bambini, in quello 2040-2049 saranno addirittura 550 milioni. Quasi la metà di tutti i bambini nati nel mondo in quel decennio.

Evidentemente, se così tante persone nel prossimo futuro vivranno in Africa, è qui che si deciderà una fetta consistente del successo della transizione ecologica. Perché sarà questo il territorio protagonista di grandi investimenti. Ma anche perché sarà qui che dovranno essere prese le decisioni capaci di avere un impatto concreto sull’ambiente, sulle emissioni in atmosfera e sulla salvaguardia degli ecosistemi. Spesso questo dato, per quanto intuitivo, ci sfugge. La nostra abitudine a interessarci esclusivamente di cosa accade sul nostro territorio, quello italiano o quello dell’Unione Europea, ci fa perdere di vista che la crisi climatica è un fenomeno globale, e che si argina o si risolve solamente con azioni che riguardano la Terra nel suo complesso. E quindi soprattutto i luoghi che da qui a poco saranno i più popolati e con uno sviluppo economico più rapido.

Il motivo per cui si è certi che l’Africa sarà centrale nei prossimi anni è che alcuni degli indicatori che lo dimostrano sono già visibili. E non solo quelli demografici, di cui parlavamo poco fa. Gli investimenti e la diplomazia stanno già guardando sempre più spesso al continente africano. Per esempio la Cop27, cioè il summit delle Nazioni Unite sui temi ambientali, che nel 2021 (come Cop26) si è tenuto in Scozia, quest’anno si terrà in Egitto, al Cairo. A presiedere la riunione sarà un diplomatico di peso del regime di Al-Sisi, cosa che non sarà priva di conseguenze. Anche perché, come scrivevamo qui su Linkiesta, si parla di un personaggio molto particolare. Il Marocco, già ora, è considerato tra gli stati più avanti nella produzione di energia pulita, soprattutto grazie agli investimenti nell’eolico e nel solare fatti nel sud del paese e nel Sahara Occidentale. E poi c’è la Namibia che, grazie a uno dei più grandi progetti industriali al mondo per la produzione di idrogeno verde, mira in questo modo a risollevare la propria economia. Per capire la portata di questi investimenti basta pensare che quelli che ci si aspetta in Namibia corrispondono all’intero Pil del Paese. E l’elenco di grandi avvenimenti in territorio africano potrebbe andare avanti molto a lungo.

C’è un altro dato rilevante: con l’aumento della popolazione mondiale (che nel 2022 supererà gli 8 miliardi di individui) il peso specifico dell’Africa sulle decisioni in campo economico, energetico e ambientale, aumenterà notevolmente. Questo perché se la pressione della nostra specie sul pianeta aumenterà, allora inevitabilmente sarà ancora più importante prendere misure urgenti per salvaguardarlo. E andrà fatto proprio dove la popolazione cresce di più. In Africa, per l’appunto.

Il continente africano vive in questo periodo grandi stravolgimenti, dalla scoperta di enormi giacimenti di combustibili fossili e siti da cui estrarre materie prime sempre più richieste sul mercato, all’ascesa dei regimi autoritari nell’Africa occidentale, fino alla guerra in Etiopia, la situazione umanitaria in Libia e la minaccia del terrorismo islamico nel Sahel.

Nel contempo gli investimenti stanno crescendo molto velocemente, soprattutto quelli cinesi nelle infrastrutture e quelli russi nel campo militare. In tutto questo la salvaguardia ambientale rischia di passare in secondo piano, ma non dovrebbe, anche perché spesso tra le cause alla radice di questi problemi ci sono proprio le questioni ambientali, come l’inquinamento, la siccità e la salvaguardia degli ecosistemi. In Sierra Leone, per esempio, migliaia di pescatori non hanno più di che vivere a causa della pesca illegale da parte di pescherecci cinesi. Economia e ambiente, ormai lo sappiamo, sono interconnessi. Purtroppo l’Unione europea, che a parole si vorrebbe leader della transizione ecologica, ha sull’Africa un’influenza sempre minore e contraddittoria e quindi sempre meno voce in capitolo, né capacità di dare supporto a quello che, di fatto, è il continente del futuro.

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