Secondo un nuovo studio pubblicato dalla rivista Science, che si basa sui dati raccolti dal satellite dell’Agenzia spaziale europea Sentinel-5P, la mappa mondiale dei maggiori emettitori di metano vede al primo posto il Turkmenistan seguito da Russia, Stati Uniti, Iran, Kazakistan e Algeria. Si stima che questi grandi emettitori rilascino circa otto milioni di tonnellate di metano all’anno, pari all’8-12 per cento delle emissioni totali generate dall’estrazione e dal trasporto di petrolio e gas. Non sono poche le ricerche che dimostrano quanto i pozzi, le condotte e le infrastrutture per lo sfruttamento dei combustibili fossili siano responsabili dell’emissione di grandi quantità di gas serra. E infatti nel novembre scorso a Glasgow, in occasione della conferenza sul clima Cop26, più di cento paesi si sono accordati per ridurle di almeno il 30 per cento entro il 2030.
Tuttavia, anche in un contesto sociale e politico in cui il tema dei combustibili e dell’energia ha assunto un ruolo di primissimo piano, pur nelle differenti coloriture d’approccio e di vedute, quel che manca da sempre è la consapevolezza che occorre inserirlo in un contesto più ampio, serio, realistico e chiaro, che parta dalla gestione della crisi ambientale prima che dalla risoluzione della contingenza.
Eppure, nei giorni scorsi il plauso e l’esultanza per l’approvazione delle modifiche alla nostra Costituzione si sono levati quasi unanimemente. L’inserimento della tutela dell’ambiente e del principio di giustizia intergenerazionale negli articoli 9 e 41 ha generato reazioni e commenti favorevoli sia nel mondo politico sia in quello civile. Il ministro dell’Ambiente Roberto Cingolani ha definito «epocale» la giornata in cui si è svolto il voto in Parlamento. Grande soddisfazione anche per il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, Enrico Giovannini, così come per le associazioni ambientaliste che sottolineano la portata storica di questo voto che rappresenta una svolta non solo per la legislazione futura che a questi principi si dovrà ispirare ma anche per quella presente, che si dovrà adeguare.
Ciò nonostante per molti di noi a livello globale il problema ambientale e più propriamente la crisi climatica, resta un argomento distante, alieno rispetto alle nostre vite, remoto rispetto alla nostra quotidianità. Secondo alcuni studi psicologici a generare questo nostro superficiale atteggiamento di indifferenza contribuisce non poco una comunicazione sbagliata adottata dalle stesse voci di chi, tra scienziati, politici e opinion leader, dovrebbe invece indirizzare la pubblica opinione e il comune sentire. Quel che si riteneva un tempo, e cioè che il fenomeno della distanza psicologica rende generalmente le persone inattive contro il cambiamento climatico e dipende dal non conoscere abbastanza la materia, oggi è stato smentito. Altri studi evidenziano che anche le persone più informate e motivate all’azione spesso non sanno cosa fare nella pratica.
Il tema centrale che la politica, la scienza e gli attori sociali coinvolti nel processo di sviluppo culturale e sociale devono affrontare oggi è come generare una conoscenza procedurale e efficiente, fornire cioè all’individuo e alla collettività risposte concrete alle domande: “quali sono le strategie più efficaci? Come posso intervenire direttamente?”
Altrimenti permarrà la sensazione diffusa che la salvaguardia dell’ambiente e del clima oltre a non riguardarci direttamente comporti molti più costi che benefici. Una volta detto e fatto questo, affinché si possano definire piani di intervento concreto dovremo poi chiederci quando, dove e come vogliamo superare le nostre abitudini e sperimentare finalmente nuovi stili di vita.