Il nostro San Valentino Caro cibo, io ti amo perché…

La giornata degli innamorati è quasi arrivata, e tra lettere d’amore, cene, regali e sorprese, noi non potevano che fare la nostra dedica romantica al nostro amato cibo, ciò di cui vi raccontiamo con passione tutti i giorni

Caro Cibo,
io ti amo perché sei la mia àncora di salvezza.
Sei la mia medicina, quando ti cucino e quando ti mangio. Sei il mio sfogo quando sono stanca. Sei la mia cura quando sono arrabbiata. Sei il mio xanax quando sono agitata. Sei la mia coccola quando voglio essere felice. Non importa se devo prepararti, sceglierti, raccontarti o mangiarti. In qualunque forma ti guardo, sei salvifico e determinante.
Sei il mio lavoro, da più di vent’anni mi dai da mangiare, che buffo, non trovi?
Più ti conosco, più capisco quanto altro devo impararti.
Sei faticoso, a volte. Quando proprio non vai giù, perché il mondo gira nel verso sbagliato. Ma mi torni amico quando mi guardi dal frigo, o dalla dispensa, e mi implori di cucinarti. Tu lo fai per me, lo sento. E l’irrefrenabile desiderio di mescolare acqua, lievito e farina, di infilare in forno un arrosto, di mescolare un risotto, mi procura immediata una sensazione diffusa di pace interiore.
Come quando guardo lei, Ina. 86 anni, gli ultimi due passati fuori e dentro un ospedale. Fa fatica a stare in piedi. Ma c’è il baccalà con le patate da cucinare, e nulla la distoglie dal prepararlo. Mia suocera è la rappresentazione vivente di quanto il cibo sia dedizione, determinazione, identità e cura, salvifica quando lo cucini e che dona amore a coloro per cui lo prepari. Sono tutti piatti d’amore, ed è un amore reciproco.

Tua,
Anna Prandoni

Caro Cibo,
ti amo perché raccogli i ricordi e me li risvegli attraverso un profumo.
Ti amo perché sei la memoria degli attimi belli – il ragù di coniglio di mia nonna cotta sulla stufa, lo zafferano che riempie le narici del risotto milanese di mia madre, la frittura in riva al mare – tutti quelli che ho condiviso con persone che amo, ma anche con qualcuno che appena conosco. Ti amo perché fai da collante, togli dai imbarazzi – chi ad una festa non si è aggrappato ad una tartina per superare la timidezza? -, ravvivi una conversazione che si spegne – che buono questo pollo! – e sei il ponte di un corteggiamento in un primo appuntamento.
Ti amo perché quando vieni diviso, unisci.
Ti amo perché ti adatti perfettamente a ogni situazione.
Ti amo perché, come di ogni innamorato, non amo tutto ma apprezzo ogni cosa.
E come in ogni storia che si rispetti, ci sono volte in cui ti gusto appieno, fino a togliermi il respiro, altre in cui non ti guardo nemmeno, altre ancora in cui ti vorrei tantissimo.
Sappi, però, che poi quando mi fermo e ti osservo mi piace ogni cosa di te, perché hai il potere di condizionare il mio umore, di farmi intristire, ma anche e soprattutto di farmi gioire, di farmi sognare.
Vorrei che tu fossi sempre così, pieno, rotondo e gustoso, ma soprattutto già pronto.

Tua,
Denise Frigerio


Caro Cibo
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ti amo perché sei l’anima di ogni casa.
Sei la traccia che rende unica la mia famiglia. Hai il sapore dei ravioli che fa la mia mamma, della carbonara che fa il mio papà, hai il gusto intenso della carne cotta sul camino in un giorno di festa e quello delicato del sugo per la pasta di ogni giorno.
Ti amo perché profumi come i ricordi di ogni viaggio che ho fatto, perché sai raccontare il mare e le strade. Perché hai il tocco piccante di un polpo gallego e la leggerezza di una sogliola mangiata in Normandia. Perché hai la dolcezza di un tè con gli scones bevuto nel Kent e l’intensità inattesa di un bollito Alsaziano.
Ti amo perché sei amore. Quello con cui ho preparato le prime pappe alle mie bambine quando erano piccole, e quello con cui oggi insieme giochiamo facendo una torta.

Tua,
Daniela Guaiti


Caro Cibo
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ti amo perché sei cultura popolare.
Perché ci sai spiegare, senza neanche usare le parole, che la storia di un Paese, di una città o di una singola persona si può scoprire in ciò che mangiano, da come lo mangiano e da come lo hanno preparato.
Caro cibo, ti amo perché sei identità.
Perché in un solo piatto puoi riconoscere una nazione, un ingrediente può unire il mondo intero, e in un procedimento ci trovi un piccolo paesino. E nella ricetta del nostro piatto preferito ci ritroveremo sempre noi stessi.

Tuo,
Alessio Cannata


Caro Cibo
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ti amo perché senza di te non posso vivere (letteralmente).
Ci siamo incontrati quando cercavo solo dolcezza, da bambina, e tu me l’hai data attraverso un tazzone di latte caldo e tanti biscotti da tenere a bagno il giusto tempo, senza spezzarli. Poi ho voluto spingermi oltre, verso la croccantezza, e, per amarci ancora, ci siamo rifugiati anche in angoli di perdizione, come il banco surgelati. Preparando qualche pizzetta o un po’ di patatine ho imparato a usare il forno e le padelle, per farti più bello. Poi, caro Cibo, è iniziata l’epoca della Carbonara, un threesome con mio papà, con cui ci siamo sfidati per anni a chi la faceva più buona. E tu lì, tra di noi, ci hai resi felici. Quando ho voluto di più, mi hai svelato che si possono conoscere luoghi nuovi mettendo semplicemente la forchetta in un piatto e che mai, quando si è in viaggio, si devono cercare i sapori di casa, se non inciampando per caso in qualcosa che li ricorda. Perché sì, caro Cibo, ovunque io sia, dentro di me hai scritto un Dna gastronomico preciso e ad ogni tavola riesco a sentire la mia terra di origine. Con te, riesco a sentirmi sempre a casa. Ora, che sono grande, sono felice di festeggiare con te i nostri quarant’anni d’amore. In questa età della vita mi hai mostrato il tuo volto amaro, che amo follemente.

Per fortuna che ci sei, o Cibo. Con te dimentico ogni affanno. Mi ristori. E non temere se ogni tanto mi metto a dieta: tanto poi torno sempre da te.

Tua,
Stefania Leo

Caro Cibo,
ti amo perché, sei la metrica delle mie giornate, da quel La colazione prima o la mattina non inizia al Ma cosa mangiamo stasera a cena?, mentre ancora inzuppo i biscotti nel latte macchiato caldo fino al punto giusto di non rottura. Sei la madeleine che scandisce il mio spazio-tempo, anche nelle amicizie: Sì, con lei ci siamo conosciute nel 2017 al Festival della Cacio e Pepe da Eataly. Sei la bugia bianca quando vado al ristorante e con fermezza al cameriere dichiaro di mangiare tutto nonostante a casa eviti le interiora o snobbi le pere, e al netto di intolleranze o sospette allergie rimandi a confermarle per paura di sentirmi a metà. Sei la mia conversazione preferita con la nonna adesso che i ruoli tra di noi si sono un po’ invertiti e nelle telefonate a 1000 chilometri di distanza sono io a preoccuparmi se lei abbia mangiato. Sei il lavoro che ho scelto e parlare di te mi sembra sempre un privilegio quando altri colleghi, ma anche gli stessi cuochi con grande onestà intellettuale, ripetono Mica operiamo a cuore aperto. È vero. Tu produci, però, emozioni al pari di una canzone che fa commuovere o di un gol che tira su dal divano, perché io lo ricordo ancora quel Risotto zafferano con polvere di liquirizia mangiato quattro anni fa nella nebbia di Rubano o quella Roma-Caiazzo A/R in giornata “solo” per una pizzaSei capace di cambiarmi la giornata, sai ritmare le tappe dei miei viaggi che quest’anno mi prometto di implementare e diventi l’arma migliore per rompere il ghiaccio con sconosciuti. Perché non si parla più del tempo che c’è fuori ma di te, caro cibo, che sai essere luogo comune e originalità, certezza e imprevisto, di strada e gourmet, casa e stimolante inadeguatezza grazie a tutti i limiti che mi fai superare.
Tua,
Andrea Martina Di Lena

Caro Cibo,
ti amo perché quella volta con gli occhi pieni di lacrime e l’umore a terra, affondando il cucchiaio in quella vaschetta di gelato che avrei voluto non finisse mai, il mio cuore si è riempito di conforto, ricordandomi che il vero amore esiste, ed è quello che io provo per te. Per non parlare poi di quella volta, in cui davanti alla Tour Eiffel addentavo il croissant più buono di Parigi (e della mia vita) e facendomi coccolare dal suo burro pensavo se tutto sarebbe stato ugualmente magico se non avessi avuto lei tra le mie mani. E ti amo poi, ogni domenica, quando, in compagnia delle persone a me più care, ripiegando una fumante fetta di pizza rifletto sul fatto che non vorrei essere proprio da nessun’altra parte, con nessun’altra persona e nessun’altra pietanza davanti a me.

Facile amarti quando ti palesi sotto forma di zucchero, colesterolo o grassi saturi, eppure io ti ho amato, e ti amo, in ogni tua manifestazione. Ti ho amato anche quella volta in cui, dopo tanti anni di matrimonio papà andò a vivere da solo, e ci preparò il primo piatto di pasta della sua vita: nonostante avessi un pessimo sapore, in quel momento, significavi per me tutto l’amore che un padre nutre per i propri figli.

Amare è un sentimento meraviglioso, così bello e così doloroso allo stesso tempo. Profondo, viscerale, carnale. L’amore umano è così complesso: un giorno ami, l’altro soffri. Con te è diverso. Ti amo perché sei fedele e sei costante, e questo per me è il vero amore.
Buon San Valentino!

Tua,
Giulia Fornari

Caro Cibo,
ti amo perché nei momenti in cui mi perdo, so di potermi chiudere in cucina a tagliare e rosolare verdure per sentirmi meglio. Sei sempre stato la mia valvola di sfogo, in azione, nell’umore, nei pensieri. Sei qualcosa che mi motiva ogni giorno e non potrei fare a meno di te. Ti chiedo scusa se alcune volte ti bistratto e non ti celebro adeguatamente, ma è bene che tu sappia che per me sei passione, lavoro, divertimento e cultura. E mo’, ti mangio!

Tua,
Chiara Buzzi

Caro Cibo,
ti amo perché la domanda che da sempre mi scalda il cuore non è «come stai» ma «hai mangiato»? La prima è una domanda retorica che ti può fare chiunque – nessuno, quasi mai, vuole davvero ascoltare una risposta diversa da un sì – mentre chi si interessa del tuo stomaco è quasi sempre pronto a occuparsi del tuo benessere e si augura che tu gli dica no. È una domanda che, chissà perché, smettono di farti quando diventi adulto. Forse il motivo è che i ruoli a una certa età si invertono e adesso sei tu a chiedere: «Dì la verità, da quanto non mangi»?
Caro cibo ti amo perché la tavola è una grande metafora della vita e c’è un momento per ricevere – tempo, attenzione, cura – e uno per restituire. In questo tempo precario ho riscoperto il pranzo della domenica, come un piccolo Natale laico da santificare senza bisogno di dirselo: portare quello che serve per cucinare, apparecchiare con la tovaglia, ogni tanto restare anche a cena. E ridere del polpettone venuto male, perché ne abbiamo tutti un gran bisogno.

Tua,
Claudia Saracco

Avete anche voi una dichiarazione d’amore da fare al cibo? Le aspettiamo su Instagram!

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