Le prime Olimpiadi invernali della storia si svolsero nel 1924 a Chamonix, città francese sulle Alpi e famosa destinazione sciistica. In quell’occasione, tutti gli eventi ebbero luogo all’aperto: gli organizzatori trasformarono l’ippodromo nello stadio Olimpico per l’hockey su ghiaccio e crearono piste per gli sport con lo slittino. La neve fresca poi fece il resto. La “Settimana internazionale degli sport invernali”, come era nota all’epoca, fu un tale successo che nel 1928 il Comitato olimpico internazionale (Cio) riconobbe l’evento proprio con il nome di Olimpiadi invernali. Da allora ad oggi molte altre città internazionali hanno ospitato i giochi olimpici, da St. Moritz in Svizzera, a Lake Placid in America, passando per Canada, Norvegia e Russia e arrivando – quest’anno – a Pechino.
Chi ha seguito, anche solo distrattamente, le gare di quest’edizione ha sicuramente notato come appena oltre le piste bianche preparate ad hoc per gli eventi di sci e snowboard si potessero intravedere colline verdi e marroni, dove di neve non c’era alcuna traccia.
La neve artificiale non è una grande novità; non lo è per chiunque abbia sciato negli ultimi 20 anni, né per i professionisti di queste discipline sportive e nemmeno per gli organizzatori delle Olimpiadi invernali. Complice anche il cambiamento climatico e le temperature sempre più alte. In Europa, ad esempio, l’Istituto Wsl per la ricerca sulla neve e le valanghe ha rilevato che nelle Alpi svizzere sono andati persi un totale di circa 36 giorni di neve rispetto al 1970. E ancora: l’emisfero settentrionale ha perso circa quattro milioni di chilometri quadrati di manto nevoso, con una diminuzione di circa il 10% negli ultimi quattro decenni. La soluzione quindi, non può che essere la neve artificiale.
La prima volta nella storia in cui è stata usata la neve man-made durante i Giochi Olimpici è stato nell’inverno del 1980, a Lake Placid negli Stati Uniti. Da quel momento in avanti, sempre più edizioni hanno utilizzato quantità significative di neve artificiale. Circa l’80% della neve di Sochi 2014 era artificiale, arrivando vicino al 90% a Pyeongchang. Il record però si raggiunge con le Olimpiadi di Pechino, che sono state le prime a far scendere in pista quasi esclusivamente neve artificiale.
Questo è ciò che accade quando il Cio decide di portare i Giochi invernali in un luogo quasi del tutto privo di uno degli elementi principali per gli sport invernali: la neve. Basta una conoscenza di base della geografia per accorgersi che la maggior parte della Cina, soprattutto Pechino, non è la sede ideale per queste Olimpiadi. È vero che gli sport di discesa si sono svolti ben fuori dalla capitale, a Zhangjiakou (città di montagna nella provincia di Hebei), dove sì c’erano piste da sci ma pochissima neve.
Le Olimpiadi invernali più recenti hanno quindi tutte un segreto in comune: man mano che la neve naturale diventa meno affidabile, le competizioni si svolgono quasi sempre su fiocchi artificiali. La questione però ci fa porre tutta una serie di domande e solleva dubbi non solo in termini di sicurezza per gli atleti, ma anche per il costo ambientale dei Giochi.
Per esempio, cosa serve per creare neve finta? In queste Olimpiadi, sale macchine e stazioni di pompaggio spostano l’acqua su per le montagne dove viene spinta attraverso pompe ad alta pressione, quindi forzata, con aria, attraverso una ventola e fatta esplodere da oltre 350 cannoni da neve. In genere la neve artificiale presenta in sé additivi chimici (per assicurarne la consistenza), ma la Cina ha affermato che non ci sono sostanze chimiche coinvolte.
Ciò che preoccupa ancora di più però è la scarsità di riserve d’acqua di Pechino. Negli ultimi decenni, il rapido sviluppo ha intaccato le falde acquifere della città. Luglio e Agosto spesso sono caratterizzati da forti piogge, ma in inverno le precipitazioni sono scarse: meno di 500mm a stagione in media negli ultimi decenni, secondo i dati di una stazione meteorologica vicino alle sedi olimpiche. Nel 2017, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati internazionali, Pechino disponeva di risorse di acqua dolce pari solo a 36.000 galloni per residente, numero equivalente alla Repubblica del Niger, nazione dell’Africa occidentale. Gli organizzatori cinesi hanno affermato di non attingere dall’acqua potabile dei cittadini ma di usare solo serbatoi di raccolta posizionati da tempo apposta per le Olimpiadi. Tuttavia i giornali locali hanno contestato la veridicità delle affermazioni, rivelando che alcuni fiumi sono stati deviati interrompendo l’irrigazione nei terreni agricoli per la produzione di neve artificiale.
Cerchiamo di essere chiari: Pechino, metropoli di oltre 21 milioni di abitanti, non resterà senz’acqua a causa delle Olimpiadi. La città ha fatto passi da gigante con i suoi monumentali progetti idrici. Il più grande sforzo per alleviare i problemi idrici di Pechino è iniziato ben prima delle Olimpiadi: una colossale serie di corsi d’acqua che ne trasferisce trilioni di galloni all’anno dall’umido sud della nazione al suo nord assetato. Nel 2020, l’acqua del progetto rappresentava un sesto dell’approvvigionamento idrico della capitale. Tuttavia, nonostante i progressi del governo cinese negli ultimi anni, scienziati e ambientalisti affermano che la capitale non può permettersi di sprecare acqua in qualsiasi modo.
«C’è ancora molto da fare sulla conservazione dell’acqua, aumentandone l’efficienza nell’uso e garantendo l’equità sociale nella sua allocazione» – ha affermato Ximing Cai, professore di ingegneria delle risorse idriche presso l’Università dell’Illinois Urbana-Champaign – «se le Olimpiadi stimolano uno sviluppo economico sulle colline vicino a Pechino l’uso dell’acqua ad esso associato dovrà essere pianificato con estrema cautela».
Dulcis in fundo, fin dall’inizio la Cina aveva affermato che i Giochi sarebbero stati alimentati al 100% da energia rinnovabile, ed effettivamente gli organizzatori di Pechino hanno fatto di tutto per garantire l’accesso all’energie green. Un’analisi del sito web Carbon Brief ha suggerito che Zhangjiakou può generare più energia rinnovabile rispetto alla maggior parte dei paesi proposti per le Olimpiadi e che il suo sistema di rete all’avanguardia può fornire elettricità a Pechino e alle regioni vicine. Non si può però ignorare il fatto che, indipendente da dove provenga l’energia usata per creare neve artificiale, ne serve davvero una gran quantità. Le Olimpiadi invernali di Pechino possono quindi essere davvero considerate sostenibili?
E se poi la Cina, grazie ai Giochi olimpici, dovesse raggiungere il suo obiettivo di incoraggiare milioni di turisti a iniziare a sciare nella regione, il dilemma si fa ancora più grande. Ora infatti, che i giochi sono finiti e le telecamere sono spente, come farà la Cina ad alimentare le dozzine di stazioni sciistiche e piste di pattinaggio costruite in tutto il paese?