Nella giornata di lunedì 31 gennaio, la giunta militare che controlla il Mali dal colpo di stato del 2020 ha dato 72 ore di tempo all’ambasciatore francese per lasciare il Paese. La scelta segue i commenti molto duri del ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che lo scorso venerdì aveva definito il nuovo governo «fuori controllo» e «illegittimo», e mostra la grande tensione nei rapporti tra Parigi e Bamako.
Dal 2013, i francesi schierano una cospicua forza militare (5mila uomini fino alla fine del 2021, oggi diventati circa 2500) per aiutare i Paesi del Sahel a mantenere il controllo del proprio territorio, seriamente minacciato da bande armate e gruppi terroristici.
Uno dei principali centri è proprio il Mali, che però manifesta una crescente insofferenza per la presenza occidentale. Da tempo, Parigi ritiene questo impegno insostenibile, e ha cercato di costruire una coalizione europea che possa prendere il posto di una parte dei suoi soldati e garantire la stessa stabilità.
Così, nel 2020, è nata Takuba, una missione dell’Unione europea a guida francese a cui partecipano circa 600 soldati forniti da Italia, Estonia, Svezia, Danimarca, Repubblica Ceca e Romania, coadiuvati da ufficiali di collegamento portoghesi, belgi, olandesi, e norvegesi. L’obiettivo di Takuba, acquartierata nelle città di Gao e Menaka, in Mali, è aiutare le forze armate maliane nel contrasto al terrorismo e sostenere le operazioni di Francia, Nazioni unite e degli altri Paesi saheliani in questa zona.
La rottura diplomatica tra Bamako e Parigi mette in crisi questo dispositivo, particolarmente voluto dai francesi per la condivisione dello sforzo militare nel Sahel, ma anche per delle ragioni politiche: è un primo embrione di una forza operativa europea, e la sua riuscita può essere un modello per altri progetti simili.
Le difficoltà aggiungono un ulteriore fronte di tensione tra gli europei e la Russia, che sta cercando da anni di aumentare la propria presenza in Africa attraverso la compagnia di mercenari Wagner.
La Danimarca, che schierava in Mali circa 100 militari, ha annunciato il loro ritiro giovedì 27 gennaio a seguito delle critiche del governo maliano: l’arrivo delle forze speciali danesi sarebbe avvenuto «senza il suo consenso».
I danesi hanno reagito molto duramente: «Non vogliamo essere presi in giro. Non c’è alcun dubbio sul gioco sporco che è in corso in questo momento: i generali putschisti lavorano con la Russia e i mercenari russi presenti sul territorio […]. Cercano di creare la discordia e distogliere l’attenzione dai problemi che hanno. Ecco perché noi europei dobbiamo esaminare quale decisione prendere, e scegliere la più saggia», ha detto Jeppe Kofod, ministro degli Esteri danese. Prima dei danesi, lo scorso gennaio anche la Svezia aveva annunciato il suo ritiro a causa dei mercenari della Wagner.
L’interferenza russa è uno dei motivi che ha deteriorato le relazioni tra la Francia e il Mali. Lo scorso novembre, durante il G20 di Roma, la presenza russa in Sahel è stata al centro dell’incontro bilaterale tra il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Per i francesi, che stimano in circa 600 i militari controllati dal Cremlino presenti in Mali, le manovre russe per aumentare la propria influenza in questa area sono un atto di «grande ostilità».
In queste stesse settimane, dopo aver detto che la loro presenza in Mali non è più scontata, i francesi hanno cominciato a prendere seriamente in considerazione la possibilità di schierare fino a mille soldati in Romania: «La Francia ha un ruolo da giocare per rassicurare e proteggere i suoi alleati. La situazione di sicurezza è inquietante sul fianco est dell’Europa», ha detto la ministra delle Forze armate Florence Parly, in visita a Bucarest giovedì 27 gennaio. Secondo le informazioni del quotidiano l’Opinion, una piccola squadra di specialisti francesi è arrivata in Romania lo stesso giorno della ministra «per studiare le condizioni di uno schieramento».
La Francia partecipa già a missioni della Nato in Lituania e in Estonia, dove sono presenti circa 300 soldati, ma un impegno del genere sarebbe una novità importante, da leggere insieme al ritiro dal Sahel: la priorità tattica di Parigi è, per ora, più a est che a sud. Lo dimostra la visita dei ministri degli Esteri francese e tedesco, prevista in Ucraina il prossimo 7 e 8 febbraio.
Un risvolto positivo queste crisi lo possiedono: costringono gli europei a lavorare insieme e a rendersi conto che, ai loro confini, la storia continua.