Putin ha già colto in pieno il suo obiettivo: sulla crisi ucraina Europa e Stati Uniti sono divaricati come non mai. Neanche ai tempi della invasione dell’Iraq si è manifestata una rottura così grave. Allora, nel 2003, solo la Francia di Jacques Chirac si oppose all’abbattimento del regime di Saddam Hussein, oggi Germania, Francia e Italia, il nucleo determinante della Ue, non solo si oppongono nettamente all’analisi della natura della crisi ucraina, ma di conseguenza perseguono una strategia ben diversa da quella di Joe Biden.
Con nettezza infatti Scholz, Macron e Draghi non credono affatto alle minacce di invasione russa dell’Ucraina accreditate invece dal governo americano in piena sintonia con quello inglese (e stranamente dai media italiani). Di conseguenza, lavorano a una deterrenza nei confronti di Putin che mira a una trattativa complessiva e tutta politica sulla sicurezza reciproca nel vecchio continente.
Biden non si pone questo obbiettivo e propone al Cremlino solo una trattativa a due sugli armamenti, elemento sicuramente fondamentale ma non sufficiente a fronte della necessità palese della definizione di un patto strategico, di un tavolo istituzionale permanente, da anni naufragato col Patto di consultazione Russia-Nato, tra le due parti dell’Europa. Biden insomma è in sintonia con Putin nell’emarginare l’Europa, fatte salve telefonate di cortesia ai leader, da una trattativa che intende condurre in modo bilaterale.
Germania, Francia e Italia invece, di fatto, riconoscono a Mosca lo status di un paese che sente minacciata la propria sicurezza nel caso Ucraina e Georgia entrassero nella Nato.
Non solo, hanno un giudizio netto e negativo, di nuovo a differenza di Biden, sull’avventurismo sconcertante del governo di Kiev. Zelensky infatti continua a rifiutarsi di considerare come interlocutori obbligati quel 20 per cento di cittadini ucraini filo-russi, continua a non applicare gli accordi di Minsk che imporrebbero una riforma federale che riconosca ampia autonomia alle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk che godono peraltro di un ampio e consolidato consenso popolare.
Ancora una volta, gli europei vedono quello che Washington non vede, la capacità di Putin di fare leva sulle “contraddizioni in seno al popolo”, come si diceva negli anni sessanta, di fare politiche imperniate non solo sulla forza militare, ma anche sul consenso di strati popolari magari minoritari, ma più che consistenti, favorevoli a Mosca. Come in Ucraina, appunto.
Infine, gli europei, pur proclamando il principio astratto della libera scelta degli Stati di entrare o meno nella Nato, si rendono conto perfettamente che la Russia non può tollerare missili occidentali puntati su sé stessa ai suoi confini. D’altronde, se questo principio fosse reale e non relativo, elastico, John Kennedy si sarebbe comportato da prevaricatore quando obbligò Mosca a ritirare i suoi missili da Cuba nel 1962. Situazione non dissimile, ma capovolta, a quella attuale.
Innanzitutto, gli europei sono costretti a prendere atto oggi delle conseguenze della miope strategia loro e degli Stati Uniti negli ultimi venti anni nei confronti della Russia. Strategia impostata su due elementi fallaci. Il primo elemento è stata la valutazione che siano state irrimediabili e definitive le conseguenze del fallimento della URSS come grande potenza e quindi hanno considerato che la Russia potesse ambire solo a un mediocre status di potenza regionale.
Di conseguenza, Washington si è ritirata dal Medio Oriente e dal Mediterraneo permettendo una serie di eccellenti vittorie geopolitiche di Putin a partire dal 2008 in Georgia, grazie all’avventurismo di Shaakashviki, incredibilmente sostenuto da Washington, passando per la Siria e per la Libia, seccamente abbandonate da Obama, e altri quadranti minori col risultato che oggi la Russia non ha certo riacquistato lo status imperiale dell’Urss, ma è diventata una solida potenza militare impiantata in forze nel cuore Mediterraneo e persino nell’Africa settentrionale.
Il secondo elemento, da Obama in poi, ha visto il tramonto radicale di ogni strategia geopolitica dell’Occidente per cedere il passo a miopi strategie basate su valutazioni meramente economiche. Raggiunta l’autonomia energetica grazie al gas di scisti, Obama, e poi Trump e oggi Biden hanno abbandonato Europa e Medio Oriente come quadranti primari su cui si giocano gli stessi interessi nazionali dell’America.
Contemporaneamente, con pari cecità, gli europei, la Germania in primis (ma non la Francia) hanno sciaguratamente affidato alla Russia il controllo del proprio approvvigionamento energetico che oggi garantisce il 40% della produzione elettrica della Unione Europea. Una follia strategica che oggi rende vana persino la pressione deterrente delle sanzioni economiche contro una Russia che già blocca la ripresa economica post Covid col rialzo vertiginoso del prezzo del gas.
Dunque, politiche internazionali degli Stati Uniti e dell’Europa parametrate solo ed esclusivamente su elementi economici. Nessuna visione (misera e indimenticabile la fine del Grande Piano per il Medio Oriente di Obama, tratteggiato nel discorso del Cairo del 2008), nessuna strategia geopolitica di lungo periodo. Paradossalmente, l’unico progetto strategico incisivo che ha ribaltato la deriva mediorientale è stato l’eccellente Accordo di Abramo concepito da quel para-criminale di Donald Trump. Interessante paradosso della Storia.
Oggi, Putin, così come Xi Jinping, obbliga americani e europei a riscoprire la politica, i rapporti di forza, la deterrenza finalizzata alla trattativa, le strategie, le visioni di lungo periodo. Li obbliga innanzitutto a riscrivere, rivitalizzare, il patto storico tra le due rive dell’Atlantico.
Ma può essere troppo tardi.