La pace a chiacchiereSalvini accarezza un antibellicismo cinico alla Alberto Sordi

Draghi punta all’unanimità contro Putin. Ma sull’invio di armi a Kiev il supporto potrebbe incrinarsi per l’irenismo da anime belle della Lega (che guarda ai voti di chi preferisce farsi i fatti propri) e di una minoranza di sinistra (che sta già lucidando l’antiamericanismo)

Roberto Monaldo/LaPresse

Il Parlamento, martedì, potrebbe votare all’unanimità una risoluzione di appoggio al discorso che lì farà Mario Draghi e che conterrà l’insieme delle iniziative del nostro Paese contro l’invasione russa dell’Ucraina. Sarebbe un fatto politico di primaria grandezza che, oltre a confermare l’unità della maggioranza, salderebbe addirittura a quest’ultima anche Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana: e non sarebbe un miracolo politicista ma il risultato di un posizionamento in prima fila dell’Italia nel consesso del mondo civile e democratico.

Le primissime timidezze sono state via via superate di pari passo con la barbara escalation dell’esercito di Putin e della crescente sintonia con gli alleati, giungendo all’uso di armi molto pesanti come l’esclusione della Russia dal sistema Swift, la chiusura dello spazio aereo italiano ai voli russi e la decisione di inviare mezzi militari. Ma quest’ultima questione rischia di far saltare tutto. C’è Matteo Salvini di traverso.

È evidente che finora si è morso la lingua. Il suo fariseismo malcela un grande fastidio per lo schierarsi dell’Italia contro il suo (ex?) faro del Cremlino dal quale peraltro ha ottenuto riconoscimenti e chissà che altro (andrebbe chiesto a quel Gianluca Savoini, sempre presente durante le visite ufficiali di Salvini a Mosca, che, secondo un’inchiesta dell’Espresso, aveva condotto la trattativa per il finanziamento russo alla Lega prima delle elezioni europee).

Salvini copre questo fastidio per la posizione antirussa del governo italiano con le solite amenità finto-buoniste («Ai missili non si risponde con altri missili»), la retorica sui «bimbi» vittime della guerra, la sfacciata strumentalizzazione delle parole di Papa Francesco il quale, com’è noto, parla da un pulpito morale che è cosa ben diversa dalla tragicità della politica e della storia.

La contrarietà all’invio di armi, naturale conseguenza dell’appoggio a Volodymyr Zelensky, non gli va giù («Non in mio nome», dice con slogan pacifista) perché è il segno plastico della guerra del mondo libero a Vladimir Putin, il contrario del generico e generoso volemose bene che alimenta i discorsi di ampi pezzi di società italiana. Salvini è un uomo pronto a utilizzare tutte le conseguenze negative dell’intransigenza italiana e occidentale per lucrare qualche voto e addebitare allo schierarsi contro il dittatore di Mosca l’aumento delle bollette, contando su un certo cinismo alla Alberto Sordi per cui sarebbe stato meglio farci i fatti nostri, senza ovviamente comprendere che la guerra di Putin è anche a noi, che sono “fatti nostri”, come ha spiegato lucidamente Giorgio Gori.

E d’altra parte, al riparo di un pacifismo da anime belle, vago e incolore, sta riemergendo il mai sopito antiamericanismo di una parte del pacifismo italiano annidato un po’ da tutte le parti, specie a sinistra, e per fortuna Enrico Letta ha reso immune il Pd dai tristi cincischiamenti insiti nei discorsi dell’Anpi (una gloriosa associazione che dovrebbe rinverdire la memoria della più fulgida pagina della storia del Novecento italiano, la Resistenza, ma ormai da tempo ridotta a una simil-formazione politica girotondina e estremista) nei quali si considerano «legittime» le preoccupazioni di Mosca per un’immaginario allargamento a est della Nato.

Per non parlare di una ex ministra della Difesa (!) che si chiama Elisabetta Trenta, all’epoca seguace grillina, o dello scoperto filoputinismo del Fatto, apprezzato dall’ambasciata russa a Roma. Massimo D’Alema, che è più intelligente di tutti questi, almeno fa riferimento alle condizioni del «popolo russo», che è comunque un tema, per criticare l’Occidente; mentre Maurizio Landini, chiede «di capire le ragioni profonde di quanto accade» che è un modo obliquo per dire che insomma le ragioni non stanno tutte da una parte, un latente cerchiobottismo che imbeve la posizione della Cgil di retorica pacifista, quella che non entra nel merito.

C’è da chiedersi quanto sia larga, nel Paese, questa voglia di pace a chiacchiere, senza sporcarsi le mani e pagare dei prezzi. La domanda è importante perché dalla sua risposta si potrebbe capire se effettivamente il popolo italiano stia con il governo Draghi che sceglie con coraggio da che parte stare o se domani potrebbe fargli pagare questa scelta. Salvini punta su questa possibile contraddizione ergendosi a punto di riferimento del “pacifismo” imbelle e delle pulsioni filorusse. Un gioco pericoloso. Molto più del Papeete. Ma differenziarsi in questo frangente non conviene nemmeno a uno svelto di mano come lui.

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