«Eppur si muove». Per la prima volta, uno studio condotto da un trio di economisti italiani dimostra che l’ascensore sociale nel nostro Paese non è del tutto bloccato. Anzi, in alcune parti d’Italia, in particolare nel Nord Est, le possibilità che hanno i figli di guadagnare più di padri e madri superano addirittura anche i più virtuosi Paesi scandinavi e molte città americane. Diverso è invece il caso del Sud Italia, dove la mobilità tra generazioni è del tutto paralizzata e lo status familiare resta determinante per il futuro dei figli. A meno che non si decida di emigrare altrove.
La ricerca, pubblicata sull’American Economic Journal: Applied, è firmata da Paolo Acciari, dirigente dell’ufficio statistico del ministero dell’Economia, Alberto Polo, economista alla Bank of England, e Gianluca Violante, professore di economia a Princeton.
La novità, rispetto alle ricerche precedenti e alle classifiche che hanno sempre posizionato l’Italia in coda per la mobilità sociale dei giovani, sono i dati che i tre economisti hanno utilizzato. Ovvero le dichiarazioni dei redditi di genitori e figli di circa 2 milioni di famiglie italiane, di cui sono state osservate le variazioni nel tempo.
«Finora i lavori di ricerca accademici si erano basati sulle indagini sulle famiglie condotte dalla Banca d’Italia, in cui non si possono collegare i redditi di genitori e figli», spiega Gianluca Violante. «Il nostro studio parte invece dai dati amministrativi delle dichiarazioni dei redditi, che sono il gold standard dell’analisi empirica. Su questi dati si basano infatti le rilevazioni sulla mobilità negli Stati Uniti, in Canada e in gran parte dei Paesi scandinavi». In Italia, invece, questi dati sono «difficilmente accessibili dai ricercatori, soprattutto per via della legislazione sulla privacy che è estremamente restrittiva».
Ora, comparando il 730 dei genitori e quello dei figli arrivati all’età di trentacinque anni, i tre economisti hanno potuto osservare che la mobilità intergenerazionale verso l’alto esiste anche in Italia. In più, considerato l’alto tasso di economia sommersa esistente soprattutto in alcune aree del Paese, le cifre sono state anche corrette rispetto alle stime di Bankitalia sul lavoro nero. Ma i risultati non cambiano.
Certo, chi nasce da genitori ricchi è avvantaggiato, con il 33% di possibilità di mantenere lo status sociale di famiglia. Mentre un figlio nato da genitori nella fascia reddituale più bassa ha solo l’11% di probabilità di arrivare da adulto nella fascia più alta.
Una grande asimmetria. Ma questa percentuale varia, e non di poco, anzitutto in base alla provincia e regione di nascita. «I tassi di mobilità verso l’alto sono molto più elevati nel Nord Italia, dove incidono la presenza di scuole di maggiore qualità, famiglie più stabili e condizioni del mercato del lavoro più favorevoli», spiega Violante. «Ma anche nel Settentrione ci sono differenze notevoli: il Nord Est è più mobile rispetto al Nord Ovest».
Il risultato, del tutto inaspettato, è che in alcune città italiane la possibilità di realizzarsi nel lavoro, guadagnando più dei propri genitori, sono anche maggiori di alcune aree metropolitane degli Stati Uniti, da sempre considerati la terra promessa del sogno americano. «Quando li metti a confronto», dice Violante, «si vede che in Italia la possibilità di passare dalle fasce di reddito più basse a quelle più alte è maggiore che negli States. Negli Stati Uniti, invece, c’è maggiore possibilità di superare i padri dalla middle class in poi».
Nello studio, si trova anche una classifica delle province italiane dove l’ascensore sociale funziona meglio. In cima alla top ten ci sono Bolzano, Monza-Brianza e Bergamo. Le peggiori, nella parte più bassa della classifica, sono invece Catania, Palermo e, per ultima, Cosenza. In questo caso, il livello di mobilità è molto simile ad alcune delle città americane in cui l’ascensore sociale è del tutto bloccato, come Atlanta e Charlotte.
«La scarsa mobilità del Sud viene alterata nel momento in cui i figli si muovono dal Sud al Nord», spiega Violante. «In questo caso si hanno tassi di mobilità verso l’alto molto alti. Ma la scarsa propensione a spostarsi, lasciando famiglie e regioni di origine, fa sì che il livello di mobilità intergenerazionale resti comunque basso».
Ma a essere determinante è anche il genere. Dai dati dello studio, emerge che la mobilità verso l’alto è maggiore per i figli maschi. «Questo risultato è dovuto alla scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia», spiega Violante. «L’altro dato interessante è che i primogeniti hanno maggiori probabilità di guadagnare più dei genitori se confrontati con i fratelli. Probabilmente perché si investe di più e si pone maggiore attenzione nell’istruzione del primo figlio».
Conta anche la professione dei genitori: chi è figlio di imprenditori e lavoratori autonomi ha maggiore possibilità di risalire la scala sociale. Tra le variabili considerate dagli economisti ci sono i tassi di disoccupazione, l’incidenza di divorzi e separazioni, la presenza della criminalità e il capitale sociale.
Ma il fattore decisivo resta la qualità del sistema scolastico. La scuola, osservando le correlazioni statistiche, è quella che più delle altre determina il futuro dei giovani in termini di posizioni professionali e guadagni futuri. In particolare, sottolinea Violante, «sono decisive le scuole materne e le elementari, ancora più delle scuole superiori. I primi anni di formazione del bambino nella fascia 0-7 hanno effetti permanenti su quanto guadagnerà in futuro».