La decisione di non ammettere il referendum in materia di omicidio del consenziente, presentato dall’Associazione Luca Coscioni e sottoscritto da 1.250.000 elettori italiani, non significa affatto che la Corte Costituzionale abbia decretato l’incostituzionalità della cosiddetta eutanasia attiva.
Qualunque sia la valutazione che si vorrà dare di questa sentenza, di cui sono ancora attese le motivazioni, è bene precisare, in una discussione particolarmente accesa e quindi altrettanto fumosa, quali siano i termini e i limiti effettivi della questione ieri sottoposta alla Corte.
Ricapitoliamoli molto succintamente. Era stata proprio la Consulta, con riferimento al caso Cappato-Dj Fabo, a dichiarare, di fronte all’inerzia del Parlamento, «l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento)… agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» (sentenza 242/2019).
Successivamente a questa sentenza l’Associazione Luca Coscioni ha promosso il referendum, ieri giudicato inammissibile dalla Corte, che prevedeva di limitare la punibilità dell’omicidio del consenziente, attraverso un ritaglio dell’art. 579 del codice penale, ai casi in cui la persona interessata sia minorenne, inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica, ovvero in cui il consenso sia stato estorto con la violenza o altre forme di condizionamento.
La natura esclusivamente abrogativa del referendum previsto dal nostro ordinamento non consentiva ai promotori di scrivere una nuova disciplina del tutto coerente con gli obiettivi dichiarati, ma li ha costretti a operare un ritaglio della normativa esistente compatibile, anche nel caso dell’omicidio del consenziente, con quella dettata dalla Corte per il suicidio assistito.
Ma perché questo passaggio è e resta necessario per dare una regolamentazione compiuta al tema dell’eutanasia? Perché la sentenza della Corte su caso Cappato/Dj Fabo, oggi oggetto di una risistemazione legislativa ben lontana dal vedere la luce, riguardava unicamente il suicidio assistito, cioè i casi nei quali l’atto che cagiona la morte può essere compiuto, con l’assistenza di terzi, da parte dell’interessato. C’è chi può deglutire il farmaco mortale e chi, come nel caso di Dj Fabo, può azionare con la bocca il meccanismo che lo inietta, ma c’è anche chi, per le condizioni di incoscienza in cui si trova, pur avendo dato disposizioni chiare circa la propria volontà, ha bisogno che sia un terzo materialmente ad eseguirla.
In questi casi – trattandosi tecnicamente di omicidio del consenziente, non di suicidio assistito – né la sentenza della Corte Costituzionale, né la legge in discussione alla Camera potrebbe venire in soccorso.
Questo spiega perché l’Associazione Luca Coscioni è stata di fatto obbligata, vista l’indisponibilità del Parlamento, ad aprire questo fronte referendario su un quesito che per la Corte Costituzionale, a quanto pare – sulla base delle critiche già giunte in precedenza – non sembra soddisfare il principio minimo di salvaguardia della vita umana: non nel senso che questa sarebbe offesa e pregiudicata dall’eutanasia, ma che non sarebbe garantita da una normativa di risulta (come è definita tecnicamente quella conseguente all’abrogazione referendaria), che non limita la portata della norma a casi esplicitamente eutanasici.
Qualcuno, come il Presidente emerito della Corte Costituzionale Flick, ha un po’ iperbolicamente affermato che il referendum avrebbe autorizzato l’omicidio di un consenziente disperato perché «lasciato dalla fidanzata». Però è vero che, visto lo strumento utilizzato, il quesito confezionato lasciava un’incertezza significativa in ordine all’applicabilità della nuova norma.
Ora il rischio è che il Parlamento, sfruttando questa pronuncia, traccheggi ulteriormente sulla legge in discussione e che il fronte anti-eutanasia brindi allo scampato pericolo. Ma è bene sapere, al di là di ogni considerazione di civiltà e di diritto, che dovendo decidere di un caso analogo a quello di Dj Fabo, ma con un malato in condizioni di incoscienza, la Corte di certo estenderebbe la sua precedente pronuncia anche a questa fattispecie. E non è escluso che le azioni di disobbedienza civile dell’Associazione Luca Coscioni da domani andranno in quella direzione.
La sentenza di ieri, insomma, riguarda l’ammissibilità costituzionale di un referendum, non quella dell’eutanasia.