Si avvicina il 15 febbraio, giorno in cui la Corte Costituzionale dovrà decidere sull’ammissibilità dei referendum presentati lo scorso autunno presso la Corte di Cassazione. Accanto a quelli sull’eutanasia e sulla decriminalizzazione del commercio delle droghe leggere, promossi dall’Associazione Luca Coscioni, vi sono i referendum sulla giustizia, promossi dal Partito radicale, sostenuti dalla Lega e presentati dalle Regioni Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto – tutte governate dal centro-destra – in base alla legge 352 del 1970, che prevede che le richieste di referendum possano essere avanzate da almeno 500.000 elettori, oppure da almeno 5 consigli regionali.
Il pacchetto referendario https://garantistiperilsi.it/#quesiti riguarda temi storici dell’iniziativa radicale, alcuni già al centro di campagne referendarie: la separazione delle carriere e la responsabilità diretta dei magistrati, i limiti all’applicazione di misure cautelari e la modifica delle norme elettorali del Csm. A questi si aggiungono i quesiti che riguardano l’abolizione del decreto Severino in materia di incandidabilità e il processo di valutazione della professionalità dei magistrati.
Sui referendum in materia di giustizia sembra destinata a ricomporsi la compagine di centro-destra, dentro e fuori dall’esecutivo, mentre dovrebbero aprirsi divisioni significative nel campo del centro-sinistra, con una ampia prevalenza di posizioni contrarie, totalitarie nel M5S e maggioritarie nel PD. A favore dei referendum vi sono invece Italia Viva e +Europa, mentre non si è ancora pronunciata Azione.
Il rischio che da molte parti si paventa è che la politicizzazione dello scontro referendario secondo lo schema bipolare – sì o no ai referendum di Salvini e della destra, insomma – occulti il senso delle proposte, il loro merito concreto e il contributo che potrebbero assicurare alla riforma di una giustizia immobile, inefficiente e dilaniata da scontri di potere, senza esclusione di colpi.
Per valorizzare la potenzialità riformatrice dei referendum in quella chiave garantista, cui la Lega nella sua storia non è stata certamente fedele in modo né continuo né coerente, si è costituito un Comitato Garantista per il Sì, che, a partire dalla denominazione, sceglie un profilo molto radicale.
Il Comitato è stato promosso da Italia europea e dal Comitato Ventotene, due organizzazioni a base prevalentemente giovanile della galassia politica liberal-europeista.
Per le due organizzazioni il populismo penale, con la creazione di nuovi reati, l’aggravamento delle pene, l’attenuazione delle garanzie e la manomissione dei principi del processo accusatorio ha storicamente costituito un precursore del populismo politico e ne ha anticipato molti dei motivi più ricorrenti, dal punitivismo ideologico, alla retorica securitaria e a un’impropria, ma sempre invocata, supervisione giudiziaria dei processi democratici.
Come si legge nel manifesto che illustra le finalità dell’iniziativa https://garantistiperilsi.it/, il Comitato si impegna a fare da «cassa di risonanza delle ragioni liberali per il sì a proposte che riaffermano i principi della presunzione di innocenza e della tutela della libertà di indagati e imputati, della responsabilità dei magistrati, dell’efficienza del sistema giudiziario e della terzietà dei giudici e che costituiscono, nel loro complesso, una piattaforma di riforma complessiva della giustizia» in Italia.
In una sezione del sito del Comitato si sono iniziati a raccogliere i “Perché sì” di operatori del diritto e giornalisti e commentatori attenti ai temi della giustizia. Tra i primi interventi https://garantistiperilsi.it/#section-81-9, quelli di Guido Vitiello, Iuri Maria Prado, Sofia Ventura, Lorenzo Ziletti, Damiano Aliprandi, Ariela Briscuso e Giuliano Cazzola.