«Denazificare l’Ucraina» è l’obiettivo con cui Putin giustifica il suo attacco, e nell’appello con cui ha invitato i soldati ucraini a deporre le armi e tornare a casa ha detto: «i vostri padri e i vostri nonni non hanno combattuto per poter aiutare poi i neo-nazisti». E un Battaglione Azov che combatte per l’Ucraina ed è accusato di simpatie nazistoidi salta subito regolarmente fuori nei commenti sui Social dei residui sostenitori di Putin in Occidente.
Ora, negare che ci furono componenti del nazionalismo ucraino che collaborarono col nazismo è impossibile: sarebbe come negare che Stalin abbia fatto con Hitler l’alleanza che scatenò l’aggressione alla Polonia. Il punto, però, è che oggi queste accuse di nazismo sono fatte a un Paese il cui presidente Volodymyr Zelens’kyj è lui stesso ebreo. Tant’è che lo scorso ottobre il vice-presidente del Consiglio di Sicurezza Russo Dmitry Medvedev usò contro di lui toni antisemiti, in una lettera al giornale Kommersant dove spiegava che proprio in quanto ebreo il presidente ucraino era per definizione estremista, corrotto e sotto il controllo straniero.
Quindi, ripetere «l’Ucraina è un Paese nazista» significa dire «un Paese con un presidente ebreo ha come ideologia lo sterminio di tutti gli ebrei». Evidentemente, un assurdo in termini. L’errore, però, è di dare al termine nazista il senso che ha nella maggior parte delle lingue. Il politologo ucraino Visiting Fellow all’austriaco Institute for Human Sciences, uno dei più importanti esperti europei nel campo delle relazioni tra Putin e i movimenti populisti e autore di un testo fondamentale sui rapporti tra Putin e destra radicale, Anton Shekhovtsov ha infatti spiegato che «nella retorica risalente ai tempi dell’Urss fascista significa semplicemente nemico della Russia. Se un fascista diventa amico, allora cessa di essere considerato fascista. Per definizione».
Ciò spiega appunto una certa retorica, e anche un macabro paradosso illustrato in Ucraina La guerra che non c’è: libro pubblicato nel 2015 dai due corrispondenti di guerra italiani Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi dopo aver passato 40 giorni tra la Kiev post-Maidan e il Donbass in rivolta. All’inizio del libro, infatti, i due si imbattono in un fascista italiano. Un 52enne piemontese di nome Francesco e detto Stan, che porta al collo una runa di metallo, e che combatte con i miliziani del Pravy Sektor nel citato Battaglione Azov. «Da ragazzo stava in Avanguardia Nazionale con Stefano Delle Chiaie», racconta senza la minima remora. «Partecipare a una guerra ideologica è sempre stata la sua ambizione. ’Ho-cinquanta-due-anni’, ha cadenzato con lentezza come se ogni sillaba valesse un pugno di lustri. ’Se non ne approfitto ora, quando cazzo mi ricapita’».
Il libro iniziato con un italiano fascista finisce pure con un italiano fascista. Solo che il 35enne Andrea, lucchese col corpo pieno di tatuaggi inneggianti a Mussolini che legato a Forza Nuova tra anni ’90 e 2000 ha fondato uno dei gruppi ultrà più violenti della scena toscana combatte invece con i separatisti del Donbass. Convertito alla chiesa ortodossa e all’antifascismo, ma un «antifascismo russo» che «fa rima con patria, con tradizione», racconta di come i separatisti hanno iniziato ad armarsi saccheggiando i musei della Seconda Guerra Mondiale; ammette senza problemi che Mosca li appoggia: e canta Fabrizio De André per spiegare che in guerra bisogna uccidere senza pietà, per non fare «la fine di Piero».
Non solo Sceresini e Giroffi testimoniato queste oscillazioni della estrema destra italiana. Giornale on line chiaramente orientato su una linea di sinistra radicale e a sua volta simpatizzante per i ribelli del Donbass, Popoff Quotidiano nel settembre del 2014 aveva ad esempio già registrato una sorta di «derby nero in Ucraina: Casapound con Kiev, Forza Nuova con Putin».
Piuttosto che il cinismo dello stesso Putin nel servirsi dei fascisti, la denuncia era su «quali capriole e equilibrismi siano capaci i fascisti quando cercano di ingraziarsi un nuovo padrone». Secondo l’analisi, sarebbe stata CasaPound sulla vicenda ucraina ad avere una linea «coerente»: «pro Kiev e quindi Pro-Ue fin dall’inizio della vicenda, tolto il piccolo problema che in Italia invece Casapound è anti-Ue». E riferiva appunto di stetti contatti con il Pravy Sektor, a combattere col quale sarebbero andati noti militanti: «da Zippo camerata famoso per aver pestato dei militanti del Pd, a Francesco Saverio Fontana, arruolatosi nella squadraccia nera che è il battaglione Azov (famoso per la brutalità con cui opera contro la popolazione civile del Donbass) e tornato di recente in Italia, già in giro a fare propaganda pro nazi col gagliardetto del battaglione in bella vista».
Su Forza Nuova osservava che invece c’era stata un’evoluzione da una posizione pro-Kiev a una pro-Putin. Un «salto della quaglia» il cui imbarazzo sarebbe dimostrato «dal fatto che dal sito di Forza Nuova sono spariti gli articoli di rivendicazione degli incontri con Svoboda (salvo che i camerati si son dimenticati di togliere i link: ad esempio oppure questa commovente lettera del segretario Roberto Fiore ai camerati di Svoboda».
Proprio Popoff permette di identificare il citato Andrea in un Palmeri scappato da un regime di sorveglianza speciale nel luglio del 2014, e ricomparso nel Donbass «a combattere l’imperialismo americano». Era «capo di un gruppo ultras fascista, i Bulldog, famosi per aver fatto piazza pulita allo stadio di ogni traccia di colore rosso a suon di sprangate e scazzottate».
A Popoff sono comunque convinti che i ribelli del Donbass siano i «buoni». Nella loro analisi, «ovviamente Palmeri e Forza Nuova sanno benissimo che è difficile, se non impossibile, andare in giro a suon di saluti romani, celtiche e svastiche in una zona dove l’antifascismo è viscerale, profondo, una pregiudiziale perché tutti hanno bene impressa nella memoria la fatica immensa che fu la Grande Guerra Patriottica e mostrano fieri il nastro di San Giorgio. Così è plausibile pensare che Palmeri all’esercito del Donbass non la stia raccontando tutta». Ci pensano dunque loro a denunciarlo, per prevenire chiunque possa usare «questa vicenda per diffamare ulteriormente la Resistenza del Donbass, togliendo valore al sangue versato da quel popolo per la propria libertà contro l’aggressione imperialista di USA, UE e NATO».
La rivolta di Maidan è però del febbraio del 2014. E già nel settembre del 2013 il Fronte Nazionale di Adriano Tilgher aveva riempito Roma di manifesti «Io sto con Putin» dal fortissimo tono omofobo. Come spiegò lo stesso Tilgher, «Putin ha assunto posizioni coraggiose, contro la potentissima lobby gay che, con un’azione capillare, punta quasi a colpevolizzare chi omosessuale non è, e contro le centrali finanziarie mondiali che vogliono la guerra in Siria. Noi stiamo con Putin, senza se e senza ma: un attacco in Siria aprirebbe le porte a un conflitto mondiale e la posizione russa rappresenta un argine contro l’irresponsabilità di Obama e di tutti i guerrafondai». Risale invece al 4 dicembre del 2013 un’intervista di Roberto Fiore alla Voce della Russia in cui il leader di Forza Nuova esprimeva sostegno a Putin in chiave anti-immigrazione. Ma il 5 giugno 2008 Russia Today aveva invece definito lo stesso Fiore «un terrorista fascista pericoloso».
In Tango Noir Shekhovtsov attesta che Fiore tra 2012 e 2014 avrebbe tenuto il piede su due staffe: cercando di fare affari in Russia, tanto da incontrare il vice premier russo Arkady Dvorkovich all’International Business Forum Italia Russia; e nel contempo mantenendo i già citati rapporti con l’estrema destra ucraina. Ma quando il 20 dicembre 2014 Forza Nuova convoca a Milano una riunione di gruppi di estrema destra da tutta Europa per costruire quella che viene esplicitamente definita «un’alleanza strategica pro Putin» il movimento di Fiore vanta invece di avere con Putin «rapporti decennali».
Ex terrorista di Terza posizione condannato per banda armata, latitante a Londra e poi presidente della lega dei movimenti nazionalisti europei, Fiore nel novembre del 2013 ha promosso con sponsorizzazione russa un incontro sulla limitazione della libertà di espressione in Europa in chiave omofoba; dal 29 agosto al primo settembre 2014 è stato a un evento in Crimea, presentando un appello contro le sanzioni europee alla Russia; il 12 e 13 settembre 2014 ha a partecipato a Mosca a una due giorni di convegni sponsorizzati da Cremlino e Duma in difesa della famiglia tradizionale. Il 17 maggio del 2015 tornerà a Mosca a dire che la stessa Mosca «è la terza Roma», secondo lo slogan del nazionalismo russo.
Nel marzo 2015 ancora Fiore è stato tra i leader di dieci movimenti europei di estrema destra invitati a San Pietroburgo a un «Forum internazionale conservatore russo» patrocinato dal Cremlino. Con lui Luca Bertoni, un fedelissimo di Salvini che rappresenta l’associazione leghista Lombardia-Russia; e Irina Osipova, un’italo-russa già candidata alle comunali a Roma con Fratelli d’Italia. Un’inchiesta dell’Espresso nell’ottobre del 2017 collega questo evento a un giro di arruolamento di mercenari di estrema destra italiani per il Donbass, in cui ricompare il nome del solito Palmeri. Il servizio riassume: «un plotone di fascisti e di neonazisti italiani che combattono in Ucraina, schierati in prima linea contro il governo di Kiev sostenuto dalla Nato.
Ideologi ’rossobruni’, stranieri e nostrani, che teorizzano e sostengono la guerra anti-europea dei miliziani filorussi. Un istruttore di arti marziali che arruola mercenari nelle nostre città, per spedirli al fronte. Ex poliziotti congedati e militari reduci da altre guerre sporche. Una misteriosa imprenditrice della sicurezza con base tra Londra e Milano. Anonimi finanziatori russi che pagano i movimenti europei di estrema destra. E due reclutatori di casa nostra con radici politiche opposte: un neofascista e un comunista. Tutti uniti nel nome di Putin». Secondo un’indagine dei Carabinieri, gli italiani combattenti con i russofoni del Donbass sarebbero almeno 6. Sono arrestati nel 2018, su richiesta della Procura di Firenze. Per il governo di Kiev, sono almeno 25. Oltre a Palmeri un altro nome che viene fatto è quello del 33enne nolano Antonio Cataldo, ex-militare che nel 2001 aveva già fatto il mercenario in Libia per i Gheddafisti.
Anche L’Espresso ritiene che «la nuova ideologia divide dall’interno anche l’estrema destra. I vertici di Casapound, ad esempio, si sono schierati con il governo di Kiev. Ma in visita nel Donbass spuntano anche esponenti romani del movimento, come Alberto Palladino, detto Zippo. Militante che nel 2008 balzò agli onori delle cronache per aver partecipato all’aggressione degli studenti di sinistra a piazza Navona. E ora si occupa di esteri nella redazione del Primato nazionale, giornale online di riferimento del movimento di estrema destra». Quello stesso Zippo che, abbiamo visto, secondo Popoff stava invece con gli ucraini! Però appena un mese dopo il leader di CasaPound Simone Di Stefano appare anche lui passato con il Cremlino. «Siamo fascisti ma ci piace anche Putin», confessa.
Si va da Putin o da Trump?, gli chiedono. «Mi sono simpatici entrambi», è la risposta. «A Trump chiederei la chiusura delle basi Usa in Italia». E il 22 giugno del 2018, proprio nel giorno anniversario dell’attacco di Hitler all’Urss, CasaPound organizza una conferenza su Putin cui partecipano sia l’ideologo rosso-bruno Aleksandr Dugin sia quel Giulietto Chiesa che da dirigente del Pci famoso per il suo filo-sovietismo e corrispondente da Mosca per Stampa e Unità è diventato uno dei più famigerati complottisti italiani, a partire dalle sue teorie sull’attacco alle Torri Gemelle fatto dalla Cia (e non solo).
Nel novembre del 2017 L’Espresso ha poi fatto un’inchiesta sui finanziamenti di CasaPound e Forza Nuova in cui si cita la nostra Intelligence per spiegare che «in cambio dell’appoggio alla causa russa in Europa i movimenti estremisti avrebbero ’ricevuto sostegno economico’». Affermazioni in realtà generica e non suffragata da prove. «Anche Forza Nuova? Impossibile saperlo», riconosce l servizio. «Le informazioni raccolte da L’Espresso permettono tuttavia di descrivere alcuni legami economici che uniscono Fiore alla Russia», aggiunge. In più, si aggiunge che Fiore «per oltre cinque anni è stato proprietario di una società basata a Cipro, isola europea prediletta dai russi, che grazie al segreto bancario è da anni uno dei posti più in voga per chi vuole tenere riservati i propri affari.
Nell’ottobre del 2010 Fiore ha infatti aperto sull’isola la Vis Ecologia Ltd, società che si occupa ufficialmente di ’riciclo di materiali’, ma che ha caratteristiche insolite per un’azienda operativa: nessun dipendente, niente sito internet, la sede registrata presso gli uffici di uno studio di commercialisti. Le visure camerali dicono che l’impresa è stata registrata a Cipro ’per scopi fiscali’, ma è impossibile sapere se sui conti siano girati soldi dato che l’impresa non ha mai depositato un bilancio. Contattato da L’Espresso, il segretario di Forza Nuova non ha risposto alle richieste di chiarimento sull’attività della sua società cipriota».
Adesso, Giorgia Meloni prende una posizione nettissima. «Inaccettabile attacco bellico su grande scala della Russia di Putin contro l’Ucraina. L’Europa ripiomba in un passato che speravamo di non rivivere più. È il tempo delle scelte di campo. L’Occidente e la comunità internazionale siano uniti nel mettere in campo ogni utile misura a sostegno di Kiev e del rispetto del diritto internazionale». Sta su Facebook, da cui invece appare scomparso l’altro post con cui nel 2018 aveva fatto i suoi complimenti a Putin per la quarta elezione.
Lo stesso esercizio con cui dopo la recente svolta contro l’obbligo vaccinale ha cancellato i suoi Tweet anti no vax del passato, ma se non altro questa volta l’evoluzione è positiva. Spicca rispetto a quelle che appaiono come esitazioni di Salvini, e che si riflette peraltro nella spaccatura che c’è tra i sovranisti al Parlamento Europeo: filo-Putin quello dove sta la Lega, assieme a Marine Le Pen; anti-Putin quello dove sta Fratelli d’Italia, assieme al partito polacco di governo.
CasaPound attraverso il Primato Nazionale sembra chiamarsi fuori, dal momento che i contendenti «si danno dei nazisti a vicenda». Non sono reperibili al momento prese di posizione di Forza Nuova, dopo gli arresti seguiti all’assalto della Cgil.