C’è la dataNel 2027 faremo a meno del gas russo

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto un passo avanti: secondo i piani, da qui a cinque anni l’Ue avrà completato il “phase out” dai combustibili importati dalla Russia. Ma non sarà facile

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Quando riusciremo a fare a meno del gas e del petrolio russo? Fino a poche settimane fa questa sembrava una domanda a cui è impossibile rispondere, d’altronde modificare gli approvvigionamenti di materie prime necessita di tempi lunghi e spese ingenti. Oggi, invece, trovare una risposta precisa è diventata una questione urgente, perché vitale per quasi tutti gli stati europei.

Il motivo dell’urgenza è evidente: la Russia è il primo fornitore di gas di Paesi come Italia e Germania. Al contempo, con oltre 10mila barili prodotti al giorno, è il terzo produttore al mondo di petrolio, subito dopo Stati Uniti e Arabia Saudita. 

C’era già un valido motivo per diminuire la dipendenza da alcune delle materie prime esportate dalla Russia, come carbone e petrolio, quello ambientale. Ma la transizione energetica, proprio per poter abbandonare queste fonti, doveva fare affidamento almeno sul gas (oltre che sul nucleare), e quindi anche su quello russo. Oggi però da una parte le sanzioni al Cremlino, dall’altra la possibilità che Putin usi il gas come arma di ricatto politica (lo ha già fatto più volte, con diversi stati europei), fanno sì che la dipendenza energetica dalla Russia debba finire immediatamente.

A questo proposito la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto un passo avanti e dato una data precisa, il 2027. Da qui a cinque anni, cioè, l’Unione europea avrà completato il “phase out” sia dal carbone, che dal petrolio e dal gas russi. La proposta verrà presentata, dice sempre von der Leyen dal summit di Versailles appena concluso, entro il prossimo maggio. 

Quelli indicati dalla presidente della Commissione sono tempi strettissimi. Cinque anni, per una svolta energetica di questa portata, sono meno di quanto diversi esperti avevano indicato come tempo minimo. Cioè quello utile a rivedere gli aspetti tecnici e adeguare gli impianti di stoccaggio oltre al resto delle infrastrutture energetiche. Ma, com’è evidente, la politica in questo momento straordinario detta la linea non soltanto sull’economia, ma, in un certo senso, anche sulla tecnica.

Serviranno dei piani industriali, ed economici, da mettere in pratica per rispettare tempi così stretti. Ma, ancora prima, serve intervenire sulla crisi economica che potrebbe essere innescata dall’aumento del prezzo delle materie prime. La presidente von der Leyen su questo punto ha detto che «i consumatori e le imprese hanno bisogno di sollievo ora». Difficile darle torto, il prezzo della benzina, infatti, non è mai stato così alto. Da Versailles veniamo a sapere anche che verranno previsti fondi per gli aiuti di stato e indicazioni per una regolamentazione dei prezzi, oltre alla possibilità per gli Stati membri «di tassare i profitti imprevisti dei gruppi energetici».

In ogni caso va tenuto a mente che quello che stanno facendo le istituzioni europee è prepararsi a un’eventualità: quella in cui bisognerà fare a meno, in tempi brevi o brevissimi, di tutte le materie prime provenienti dalla Russia. L’eventualità è stata resa probabile dalla guerra, ma non è ancora una certezza. Lo ha ribadito il premier Draghi quando, in una conferenza stampa di qualche ora fa, gli è stato chiesto se arriveremo a un’economia di guerra. Dopo aver detto di no, e aggiunto che un certo allarmismo emerso in questi giorni è «grandemente esagerato» Draghi ha specificato anche che «prepararsi non vuol dire che deve avvenire con probabilità uno». Il punto, semmai, è che «bisogna immaginare che queste interruzioni nei flussi di approvvigionamento possano accadere, specialmente se la guerra continuerà per tanto tempo». Quindi «la risposta consiste nella approvvigionarsi altrove».

 

  

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