Rifornimento alleatoCome arrivano le armi in Ucraina (e quali sono)

Dall’inizio dell’invasione russa, i Paesi Nato e l’Australia hanno inviato (o promesso) una grande quantità di materiale militare al governo di Kiev. Ci sono però diversi ostacoli logistici da superare, e una volta terminato il conflitto si dovrà trovare una soluzione alla diffusione di fucili e pistole tra i cittadini

AP/Lapresse

A una settimana dall’inizio dell’invasione russa il governo ucraino è riuscito a ottenere una quantità impressionante di rifornimenti militari, promessi o già in dirittura d’arrivo. Molti Paesi della Nato, più l’Australia, hanno annunciato la consegna di materiale bellico di vario tipo. I numeri riportati dalla no-profit Forum on the Arms Trade includono almeno 15mila armi anticarro, svariate migliaia di fucili d’assalto, munizioni, elmetti, giubbotti antiproiettile, sistemi di comunicazione, sacche di plasma, mezzi blindati (i Saxon britannici), granate e altro.

La European Peace Facility, un fondo al di fuori del regolare budget dell’Unione europea pensato per fornire aiuti militari agli alleati di Bruxelles, ha messo a disposizione 500 milioni di euro per l’acquisto di armamenti per Kiev, a cui si aggiungono 313 milioni aggiuntivi degli Stati Uniti. Il supporto militare di Washington, invece, da febbraio 2021 raggiunge il miliardo di dollari, con i quali oltreatlantico si è provato a rifornire le forze armate ucraine nel pieno del loro processo di riforma.

La difficoltà logistica di rifornire l’Ucraina
Ci sono però diversi ostacoli che l’Occidente dovrà superare per sostenere Kiev. Coordinare aiuti di questa natura non è cosa semplice, specialmente se il Paese destinatario è dotato di un arsenale eterogeneo.

Nonostante gli aiuti ottenuti dopo lo scoppio della guerra in Donbass, buona parte dell’esercito ucraino utilizza ancora principalmente armi e veicoli sovietici, incompatibili con le munizioni standard Nato.

Questo spiega il menù di materiale in dirittura d’arrivo: gran parte delle munizioni per small arms (fucili, pistole eccetera) degli ex Paesi d’oltrecortina serviranno per le armi già in dotazione alle forze ucraine, mentre il grosso consegnato dagli Stati dell’Europa occidentale includerà anche armi di produzione occidentale.

L’Italia è piuttosto rappresentativa in questo: oltre a equipaggiamento di protezione individuale, le forniture prevedono mitragliatrici pesanti, missili antiaereo Stinger (trasportati in spalla) e missili anticarro Spike. Questi ultimi due sistemi d’arma, come il missile anticarro americano Javelin già utilizzato dagli ucraini, rappresentano i capisaldi necessari per difendere i centri urbani dall’avanzata russa.

Pur essendo operabili da singoli soldati con poco addestramento, permettono di temperare il vantaggio russo in termini di forze corazzate e rendere pericolose le operazioni degli elicotteri di supporto alle unità di terra. Si stima che i rifornimenti iniziali delle forze armate ucraine bastino per circa dieci giorni di guerra: sarebbe quindi poco utile, almeno in questa fase, consegnare sistemi sofisticati, difficili da usare da operatori inesperti e con alti costi di mantenimento.

Ma fare arrivare le armi al confine non sarà sufficiente. Nell’attuale situazione, con il crescente rischio che i russi riescano finalmente a imporre la propria superiorità aerea, sarà piuttosto difficile rifornire le truppe sulla linea del fronte senza che il sistema logistico ucraino ceda sotto la pressione dei raid aerei.

A questo si aggiunge l’incognita delle prossime direttive d’attacco russe: le truppe provenienti dalla Crimea e attualmente impegnate nell’assedio di Mariupol sono ben posizionate per spingersi a nord, isolando così le unità ucraine che hanno per ora resistito a Kharkiv e nel Donbas non occupato.

Va poi considerata la probabile intenzione russa di aprire un nuovo fronte a ovest di Kiev, facendo partire un’offensiva dal territorio bielorusso e puntando direttamente su Leopoli (Lviv), l’ultima tappa sulla strada per la Polonia.

La città, dove sono state evacuate molte ambasciate e dove ci si aspetta che si trasferirà il governo quando Kiev cadrà, si è trasformata in un grande hub logistico per gli aiuti militari occidentali. Un assalto in questa regione potrebbe mettere un bastone fra le ruote degli aiuti militari, complice la mancanza di opzioni alternative: l’Ungheria, più a sud, rifiuta di far transitare materiali bellici verso l’Ucraina, mentre il confine rumeno è malagevole a causa dei Carpazi.

Gli effetti sul conflitto e la reazione di Mosca
È difficile prevedere le conseguenze di un trasferimento di armi così massiccio, ammesso che tutto il materiale riesca a raggiungere le truppe ucraine.

La decisione del governo di offrire fucili e altre armi a qualsiasi cittadino volenteroso è sensata nella situazione, ma introduce anche un elemento di incertezza sul campo. Dando accesso ai cittadini ad armi e munizioni, Kiev ha implicitamente deciso di sacrificare parte della propria autorità nel definire la strategia difensiva, contando sul fatto che la legittimità del governo basti per impedire il sorgere di gruppi autonomi al di fuori della sua struttura di comando (basti pensare ai battaglioni di estrema destra).

Diversi studi accademici pubblicati negli ultimi anni, d’altro canto, suggeriscono che gli aiuti militari possono contribuire a rafforzare l’autorità centrale, che essendo incaricata di smistare armi e rifornimenti ha uno strumento per far leva su alleati di comodo e attori sul campo.

La proliferazione di small arms sarà comunque un grosso problema per il dopoguerra, o nel caso l’occupazione russa dovesse implodere in una regione contesa fra governo fantoccio filorusso, partigiani filoeuropei e criminalità organizzata. È improbabile che le armi occidentali verranno utilizzate dall’invasore, se non altro per l’incompatibilità con le munizioni russe e la scarsa necessità di armi anticarro per l’occupante; è però fisiologico che trasferimenti di questa entità portino anche a un grosso mercato nero dopo la conclusione delle ostilità.

Questa conclusione è ovviamente ancora lontana, e non è chiaro se il regime russo sia disposto a negoziare un cessate il fuoco di lunga durata.

Rimane anche da vedere come Mosca reagirà agli aiuti occidentali. Alcuni temono che ciò trasformi la Nato in un “co-belligerante” de facto, nonostante i trattati internazionali non considerino questo tipo di aiuti militari una forma di intervento nella guerra.

La verità, tuttavia, è che il Cremlino già si considera in conflitto con la Nato, e in particolare con gli Stati Uniti. Le autorità militari russe hanno teorizzato una concezione della politica internazionale come guerra permanente, un “conflitto trasversale su tutto lo spettro”, ad intensità variabili e allargata al dominio economico, politico e tecnologico, proprio per catturare quella che ritengono essere una campagna decennale orchestrata da Washington ai danni del regime.

A Mosca, la consegna delle armi non dovrebbe quindi essere vista come un’apertura delle ostilità, tanto quanto una misura prevedibile nel quadro di un conflitto già avviato da tempo.

È più probabile che siano le devastanti sanzioni imposte dall’occidente a essere viste con preoccupazione, sia per i danni che arrecheranno all’economia russa, sia perché il Cremlino ha meno contromisure a disposizione sul campo economico che su quello militare. Condizione che potrebbe cambiare qualora il tentativo russo di porre il mondo di fronte al fatto compiuto, riportando il conflitto sul piano militare e vincere nel giro di due settimane, fallisse definitivamente.

A quel punto le armi si rivelerebbero molto utili per la difesa urbana e per rafforzare una linea del fronte più breve, magari attestata sul fiume Dnepr.

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