L’eco della crisiLa mappa delle imprese italiane più colpite dalla guerra

Secondo Fim Cisl, sono a rischio oltre 26mila lavoratori, soprattutto nel Nord Est. Dall’acciaio agli elettrodomestici fino all’oro. Quasi tutti gli impianti siderurgici italiani stanno attuando fermi della produzione o stop and go. Colpito anche l’automotive per la mancanza di forniture dalle città ucraine colpite dalle bombe di Putin

(Unsplash)

Per il momento, l’eco della guerra in Ucraina, tra rincari e e conseguenze delle sanzioni, si fa sentire soprattutto nei distretti del Nord Est. L’aggressione russa pesa in particolare sulle filiere dell’acciaio, della meccanica e degli elettrodomestici. Ma anche sul settore dell’auto, già in agitazione. Ci sono oltre 26mila lavoratori coinvolti a rischio. Ma il riverbero potrebbe espandersi presto ad altri distretti e ad altre parti del Paese, con rischi maggiori sulla tenuta occupazionale.

A dirlo è una prima ricognizione parziale fatta a tre settimane dall’inizio del conflitto dalla Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl, che ha tracciato la mappa delle aree più in crisi in questo momento. Le ricadute più pesanti sono concentrate nelle regioni nel Nord Est del Paese, quelle a maggiore industrializzazione e rapporti economici e commerciali con Russia e Paesi dell’Est Europa.

Anche se l’export complessivo verso la Russia pesa «solo» per l’1,6% del Pil italiano, riveste comunque un peso importante soprattutto per il settore metalmeccanico con distretti industriali e filiere esposte all’esportazione e all’approvvigionamento di materie prime. È in queste aziende che si registra già un calo dei fatturati e l’interruzione di molte commesse. Con numeri che, seppur parziali, spiegano dalla Fim, «sono indicativi di una situazione che è destinata a peggiorare con il passare dei giorni, soprattutto per le medie e piccole imprese».

In un Paese che già prima del conflitto stava soffrendo per il rialzo dei costi di energia e delle materie prime, le conseguenze si sentono su tutta l’industria metalmeccanica, in particolare sulle filiere energivore come la siderurgia. Per capire la portata – spiega il sindacato – basti pensare che l’80% della produzione di acciaio italiano, ovvero 24 milioni di tonnellate, proviene da forni elettrici. Se sommiamo quindi l’aumento dei costi dell’energia a quello di materie prime come ghisa e rottame ferroso, di fatto siamo davanti a una «tempesta perfetta» che ha ricadute pesanti non solo sul comparto siderurgico, ma su tutta la produzione industriale.

A oggi, quasi tutti gli impianti siderurgici italiani stanno attuando fermi della produzione o stop and go, dalle Acciaierie Venete alla San Giorgio Acciaierie, dove le bramme arrivavano da Mariupol, la città tra le più colpite dall’aggressione russa e ora dovranno essere sostituite con altri fornitori. Le scorte sono sufficienti per un mese circa, non di più. Situazione simile alla fonderia Zml di Pordenone, che ha 350 dipendenti in cassa integrazione per mancanza di ghisa che arrivava da Russia e Ucraina.

Alla siderurgia e all’alluminio, si aggiunge poi la filiera dell’auto, già in agitazione tra transizione energetica e carenza di microchip, che con l’interruzione di forniture provenienti dall’Ucraina ora sta subendo anche impatti diretti. A essere coinvolti sono pure i nomi noti. La Lamborghini di Sant’Agata Bolognese, con 1.400 dipendenti, ha fermato la linea produttiva della Huracàn a causa della mancanza di cablaggi che arrivano dalla Leoni, azienda Ucraina con siti produttivi a Stryji e Kolomyja dove, fino a prima dello scoppio della guerra, erano impiegati 7.000 lavoratori. Il fermo ha coinvolto 200 persone e si rischia la cassa se non si sblocca la situazione.

All’Automotive Lighting di Tolmezzo, che produce fanali per auto, l’azienda da 930 dipendenti ha aperto la cassa integrazione per 837 lavoratori, anche qui a causa della carenza di forniture dalla Leoni. I marchi colpiti sono nomi noti come Bmw, Porsche, Audi, Volkswagen. L’azienda rifornisce anche il Gruppo Stellantis 500 e i marchi premium Alfa Romeo e Maserati e Ferrari.

A Tessera, Venezia, il progetto Superjet International, joint venture tra l’italiana Alenia-Aermacchi e la russa Sukhoi Holding, sono a rischio 130 dipendenti che da giugno potrebbero rimanere senza lavoro. In Umbria la Tifast Titanium, Terni, con circa 100 dipendenti e casa madre ucraina che produce barre, vergelle e billette di titanio, al momento non sembra avere grosse difficolta, ma la materia prima principale usata – la spugna di titanio – arrivava per la gran parte da Kiev e presto potrebbe scarseggiare. Anche San Giorgio di Nogaro, in Friuli Venezia Giulia, la Metinvest Trametal, azienda con 250 dipendenti e quartier generale in Ucraina, il rischio è che si debba ricorrere a breve alla cassa integrazione per il mancato arrivo delle bramme.

Diverse segnalazioni sono arrivate al sindacato anche da aziende che producono macchinari per le più disparate lavorazioni: dalla pietra al ferro, fino al legno o all’impiantistica industriale. Tutte piccole e medie imprese che avevano in corso lavori di installazione e commesse verso Russia e nei Paesi dell’Est Europa, che con la guerra in atto hanno dovuto bloccare tutti i rapporti commerciali con Mosca.

Col fiato sospeso sono pure i circa mille dipendenti diretti e gli oltre 2.500 dell’indotto della azienda petrolifera russa Lukoil di Priolo, in provincia di Siracusa. Ma gli impatti sono anche indiretti. La Whirlpool ha aperto nei siti marchigiani e a Siena alcune settimane di cassa integrazione legata, secondo l’azienda, al calo di commesse e all’aumento del costo dei trasporti e dei container. Preoccupazioni si registrano anche nel distretto delle aziende orafe di Arezzo, che impiega circa 4mila lavoratori: alcune hanno già chiesto la cassa integrazione a causa dell’oscillazione del prezzo dell’oro e il blocco dell’export con la Russia.

«Una situazione di crisi che si somma alle transizioni e ristrutturazioni in atto in moltissimi settori industriali, a partire dall’automotive e alle tante vertenze ancora aperte, che se non si gestiste con politiche di sostegno adeguate e progetti di reindustrializzazione può rappresentare una miscela esplosiva sul piano economico e sociale», commenta il segretario della Fim Cisl Roberto Benaglia. «Per questo occorre intervenire su tre cose: un Recovery europeo per sostenere le industrie coinvolte; da parte sua il governo deve intervenire subito su taglio costo energia, su dazi e certezza del reperimento di materie prime contro ogni speculazione; e subito occorre mettere in campo ammortizzatori a costo zero per le aziende colpite e per i settori interessati».