Boicottaggi anti-CremlinoCome l’energia è diventata il fronte della guerra in Ucraina

Bp e Norges, rispettivamente tra le più grandi multinazionali del settore e il maggior fondo sovrano al mondo, hanno deciso di abbandonare Mosca. E potrebbero innescare un effetto domino impossibile da ignorare per Putin

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Oltre la metà delle esportazioni russe riguarda gas e petrolio. E, di conseguenza, proprio sul fronte dell’energia si sono mosse alcune delle contromisure più dure nei confronti del governo di Mosca in risposta alla decisione di invadere l’Ucraina. Due decisioni, in particolare, rischiano di nuocere seriamente all’economia russa e, nello specifico, agli apparati del Cremlino: la Bp (British Petroleum) che ha deciso di abbandonare la sua partecipazione azionaria in Rosneft, la compagnia energetica russa. E poi il fondo sovrano norvegese, il più grande fondo sovrano al mondo, che ha deciso di disinvestire dalla Russia.

Il motivo per cui queste due decisioni sono da sottolineare è che arrivano da due istituzioni dal peso specifico notevole. L’inglese Bp azienda capace di creare utili per 2,6 miliardi di dollari a trimestre è una delle quattro più grandi multinazionali dell’energia al mondo. Anche il Fondo sovrano norvegese (gestito dalla banca centrale Norges) con i suoi 1300 miliardi di dollari di valore, è un peso massimo dell’economia mondiale. Per farsi un’idea basta un dato: nel solo primo semestre del 2021 il Fondo ha avuto un guadagno di 990 miliardi di corone (94,7 miliardi di euro). 

È per via di azioni come quelle di Bp e Norges, unite all’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamenti Swift e alle altre misure, che la Banca centrale russa ha dovuto sospendere lunedì le proprie attività in borsa. L’obiettivo delle sanzioni, nel loro complesso, era mettere alle strette il Cremlino e, almeno dal punto di vista economico, la mossa sembra riuscita. Il rublo ha perso nella sola giornata di lunedì il 30% del suo valore, arrivando a valere meno di un centesimo di euro.

Torniamo all’importanza di mosse come quelle decise da Bp e Norges. L’effetto domino è una delle opzioni in campo: se aziende così importanti decidono di disinvestire, allora altre di dimensioni minori, magari legate alle prime due, potrebbero fare altrettanto. L’esempio pratico c’è già: Equinor, gigante norvegese dell’energia controllato dallo Stato, ha dichiarato pubblicamente che cesserà i propri investimenti in territorio russo, e come scrive il Corriere della sera, «si ritirerà dalle sue joint venture nel Paese».

Com’è risaputo le aziende occidentali che si occupano di energia operano in Russia da tempo. E mettere fine a questi rapporti commerciali non è indolore nemmeno per le aziende stesse (è il grande difetto delle sanzioni economiche: colpiscono l’entità sanzionata, certo, ma anche quella sanzionatrice). Bp, per esempio, ha operato in Russia da oltre tre decenni. Eppure a esporsi è stato il presidente Helge Lund in persona, che ha affermato che «L’attacco della Russia all’Ucraina è un atto di aggressione che ha tragiche conseguenze in tutta la regione» e ha aggiunto che l’invasione russa «ha portato il consiglio di amministrazione di BP a concludere, dopo un processo approfondito, che il nostro coinvolgimento in Rosneft, uno società di proprietà statale, semplicemente non poteva continuare».

Il punto più importante delle dichiarazioni di Lund, però, è quello in cui afferma di essere convinto che le decisioni prese dal suo consiglio di amministrazione non sono «solo la cosa giusta da fare, ma anche nell’interesse a lungo termine di BP». Tradotto: sul medio e sul lungo termine la Russia è un partner commerciale inaffidabile, e di cui è conveniente fare a meno.

Le decisioni di Bp e Norges sembrano indicare che anche il settore energetico, uno dei più esposti in Occidente alle risorse russe, sembra disposto a subire duri contraccolpi pur di mandare un segnale forte al Cremlino e a Vladimir Putin in persona, che, stando a quanto scrive il New York Times avrebbe deciso l’inizio di questa guerra contro il parere dei suoi stessi consiglieri e analisti.

Il fatto che la politica e l’economia occidentali stiano rispondendo in modo coeso alla mossa del Cremlino non è banale, né lo si poteva dare per scontato allo scoppio del conflitto. Al contrario, secondo diversi analisti uno degli obiettivi strategici di Vladimir Putin era proprio questo: dividere il cosiddetto blocco occidentale, mettendo in evidenza, per esempio, come i Paesi europei abbiano necessità economiche ed energetiche completamente diverse.

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