«Abbiamo dovuto chiudere all’improvviso. Lasciando i frigoriferi pieni, la linea della cucina pronta, la mise en place dei tavoli». Stefano Antoniolli è manager e chef di Fenix, il ristorante italiano più famoso di Kiev premiato anche dal Gambero Rosso. Fettuccine al tartufo e carciofi alla giudia. Pizze gourmet e gamberi rossi di Mazara del Vallo. Nelle salette riservate solitamente si attovagliano ministri, attori e uomini d’affari. Tra i clienti c’è anche l’ambasciatore Pier Francesco Zazo.
In tempi di pace la cucina a vista è aperta dalla colazione alla cena: 110 coperti immersi nel design. Oggi davanti al locale c’è una guardia armata per evitare i saccheggi. Quando non c’è il coprifuoco, chef Antonelli viene qui per riordinare la sala «e poi perché mi manca il mio lavoro». Ha sistemato le stoviglie nelle dispense. Ha messo al sicuro anche i vini: Sassicaia, Amarone, Solaia. Non mancano pregiate etichette francesi. Una cantina all’altezza del menù che tiene insieme tradizione e ricerca.
«C’era preoccupazione, ma nessuno immaginava che potessimo arrivare a questo punto». Le tartare di branzino sono state servite fino alla sera del 23 febbraio. Dopo la chiusura causa guerra, Antoniolli ha cominciato a cucinare per i militari ai posti di blocco e per i residenti in difficoltà. Poi ha mandato il cibo alle mense. D’altronde lo chef trevigiano ha deciso di restare a Kiev con la moglie ucraina e il figlio diciassettenne. In casa o nel seminterrato, con i raid aerei che lambiscono una capitale sempre più blindata. «Sono qui da 23 anni, ho vissuto la rivoluzione arancione del 2005 e Maidan nel 2014, diciamo che ho un po’ di anticorpi. E come tutte le cose, anche questa guerra finirà».
La speranza è quella di riaprire il prima possibile, anche perché chef Antoniolli guida una squadra di 70 lavoratori. In queste settimane alcuni di loro hanno tolto la camicia e imbracciato il fucile. «Si sono arruolati nella difesa territoriale». Altri hanno abbandonato la città, cercando riparo a Ovest o nei Paesi confinanti. «Ma adesso sono tutti senza stipendio e in Ucraina non c’è la cassa integrazione». Così lo chef ha lanciato una raccolta fondi per aiutarli. «Volevo rendermi utile in qualche modo. Grazie alle donazioni finora riusciamo a sostenere una trentina di persone».
La cucina italiana è la più apprezzata a Kiev, insidiata solo da quella asiatica. Anche nel resto del Paese il cibo tricolore va forte. A Odessa, sul Mar Nero, chef Roberto Armaroli è titolare di tre ristoranti: il primo sforna le ricette emiliane di sua nonna Letizia. Il secondo è un fine dining con menù contemporaneo, l’ultimo è specializzato in carne. Tra tortelli di anatra, lasagne e tonno alla Rossini, Armaroli tiene corsi di cucina per gli ucraini. È diventato un punto di riferimento in città. Anche adesso che ci si prepara all’arrivo dell’invasore. Le strade del centro sono disseminate di cavalli di frisia. I sacchetti di sabbia proteggono il Teatro dell’Opera e il filo spinato transenna la scalinata Potëmkin. Davanti alla costa ci sono le navi russe, che di tanto in tanto aprono il fuoco verso il porto.
Quando i clienti hanno saputo che Armaroli non avrebbe abbandonato l’Ucraina, lo hanno supplicato: «Per favore riapri». Lui li ha accontentati, «almeno finché non ci bombarderanno in modo pesante». All’Antica Cantina lo chef bolognese garantisce il turno del pranzo dalle 12 alle 16.30. Ha deciso che il guadagno sarà donato alle ong di Odessa. Ironia della sorte: il ristorante si trova otto metri sotto il livello della strada, era il rifugio di un palazzo ottocentesco in cui ha vissuto anche Kandinsky. «La gente si sente al sicuro quando viene a mangiare qui». Ha riunito in un unico menù i piatti dei suoi locali, per ora le scorte non mancano. «Ho portato tutto quello che avevo: pasta fatta in casa, formaggi del posto, carne alla griglia». Niente alcool, proibito per legge in periodo di guerra. Degli ottanta dipendenti ne sono rimasti nove. Gli altri hanno lasciato la città per mettersi in salvo dall’invasione.
Armaroli non ha intenzione di andarsene. Lo spiega con l’accento emiliano e una calma olimpica: «Qui la gente sta lottando per la propria libertà. In Italia lo facevano i nostri nonni, noi non siamo più abituati. Paradossalmente con quest’invasione Putin è riuscito a formare una nazione ucraina fortissima». In attesa di capire cosa succederà, lo chef continua a cucinare. «Vorrei solo che tornassimo ad avere una vita serena, una parvenza di normalità». Nemmeno il tempo di dirlo, arriva l’imprevisto. «Mi scusi, adesso la devo salutare che stanno sparando».