Conte tra Draghi e PutinDietro i distinguo e i dissensi grillini sull’Ucraina c’è il leader fortissimo di tutti i progressisti

Il leader dei Cinquestelle condanna con durezza l’attacco russo, ma dietro le quinte, secondo quello che raccontano i suoi detrattori, lavora per contrastare la decisione del governo di fornire un sostegno a Kiev

Fabio Cimaglia / LaPresse

Dietro i distinguo e i dissensi che circolano nel M5s sulla questione dell’invio di armi all’Ucraina, e poi in generale sulla linea dura del governo Draghi, c’è lui, Giuseppe Conte, un recente passato denso di feeling con Vladimir Putin, la guida del governo gialloverde con dentro Matteo Salvini (estimatore massimo del dittatore russo), Elisabetta Trenta ministra della Difesa, e peccato che saltò Paolo Savona grazie a Sergio Mattarella. Il M5s era (anche) quello di Manlio Di Stefano, adesso convertito alle posizioni odierne di Luigi Di Maio, che con Alessandro Di Battista erano personaggi che andavano a Mosca in cerca di autore, cioè di sostegno politico.

L’avvocato in questi giorni non ha potuto che condannare Mosca (ieri ha incontrato il premier confermando appoggio al governo) ma c’è il forte sospetto che dietro le quinte abbia alimentato le distanze dalla linea di Draghi e Di Maio, guarda caso i due esponenti che più detesta, il primo lo ha sostituito a palazzo Chigi malgrado i tentativi di arruolare i vari Ciampolillo, il secondo lo ha contestato apertamente per la condotta ambigua tenuta dall’ex premier nella vicenda del Quirinale, quando in effetti brigava per Franco Frattini per tacere della vicenda ancora poco chiara della candidatura di Elisabetta Belloni. E a proposito del ministro degli Esteri è assai probabile che abbia indurito i toni («Il nemico non è la Russia, è Putin») anche per approfondire il solco con il decaduto presidente del M5s.

Ieri nelle varie chat grilline sono circolati messaggi strani. Anche in quelle destinate ai giornalisti. A quanto pare in uno di questi Rocco Casalino avrebbe inviato un segnale ostile al governo alla risoluzione che verrà votata oggi dal Parlamento, messaggio subito cancellato e sostituito con uno favorevole: forse ne aveva preparati due diversi. Un piccolo “giallo” che alimenta l’idea della confusione contiana. L’house organ di Conte diretto da Marco Travaglio è scatenato sulla linea “comprensiva” delle presunte ragioni di Putin, una delle sue firme “eccellenti”, Barbara Spinelli, figlia di uno dei massimi costruttori dell’europeismo, è stato positivamente ripreso dall’ambasciata russa a Roma, per dire.

E c’è malessere anche e soprattutto sul decreto varato nel pomeriggio con il voto favorevole dei ministri grillini che garantisce, previa autorizzazione delle Camere, «la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell’Ucraina». Si tratta di un provvedimento complesso i cui contenuti costituiranno l’ossatura del discorso che oggi Draghi terrà in Parlamento e la risoluzione che alla fine verrà approvata pressoché all’unanimità. È un decreto di importanza capitale: l’Italia è in campo, e dalla parte giusta.

Le armi che l’Italia dovrebbe mandare in Ucraina sarebbero sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti e mortai. Strumenti, secondo gli esperti militari, utili in un contesto di conflitto urbano e di resistenza, dove è necessario avere a disposizione armi di facile trasporto e utilizzo. Come ad esempio i missili anticarro o degli Stinger antiaerei a infrarossi.

Ma da Conte-Casalino erano comunque partiti segnali arrivati non all’ultima ruota del carro ma al presidente della commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, che ha annunciato voto contrario al decreto quando arriverà in Aula. Ma è chiaro che si tratta di un messaggio – e questo è ancora più importante – ai grillini “pacifisti” che oggi dovranno votare la risoluzione parlamentare. Ovviamente si tratterebbe di un piccolissimo dissenso dinanzi a una enorme maggioranza, dato che il documento, che sintetizzerà il discorso del presidente del Consiglio, verrà votato da tutta la maggioranza e probabilmente anche da Giorgia Meloni.

C’è dunque come un doppio livello, se così si può dire: quello costruito da Draghi (e Enrico Letta), vale a dire la linea intransigente contro la Russia, che ufficialmente ha l’unanimità di tutti i partiti; e un secondo livello, visibile ma ufficialmente inespresso, che fa riferimento a Conte e Salvini, “padri” di una linea molto meno netta per non dire ambigua che si trincera dietro formulazioni evidentemente assurde (la contrarietà all’invio di “armi letali”, come se esistessero armi innocue) e una “prudenza” da finti statisti che in realtà maschera la volontà di tenere aperto un canale empatico con il Cremlino. Ma Draghi va avanti, e il Parlamento è con lui.