Tra i filoni collaterali del dibattito sulla guerra, ce n’è uno che riguarda le dinamiche sottostanti alla costruzione di trasmissioni del cosiddetto infotainment (il format televisivo che prevede l’ibridazione di informazione e intrattenimento). Ne ha parlato per esempio lunedì Nathalie Tocci sulla Stampa.
Chi segue la TV generalista (in particolare La7 e Rete 4 che si sono specializzate in questo tipo di televisione) è continuamente sottoposto alle opinioni sulla geopolitica espresse da filosofi, sociologi, fisici, ex generali convertiti alle scie chimiche, storici dell’arte.
E guardate che succede con tutto. Per esempio (chi mi conosce sa che ci tengo) sulla scuola, dove la pretesa di essere tuttologi è amplificata dal fatto che tutti sono andati a scuola: un po’ come (mi si perdoni la metafora un po’ forte, ma rende l’idea) pretendere di essere esperti di funzionamento dell’apparato digerente perché tutti espletiamo una volta al giorno, con saltuarie eccezioni, le nostre funzioni fisiologiche.
La natura dell’oggetto del contendere (una guerra) che, vista la sua enormità, ingigantisce tutto ci consente di vedere meglio cose che sono presenti da tanto: dibattiti costruiti per esaltare il gusto del contrapporsi, piuttosto che per aiutare il pubblico a comprendere. Come nel wrestling è tutto finzione, messa in scena è il fine ultimo è quello di dare spettacolo (non decidere chi è più forte), così in queste trasmissioni il fine ultimo è dare spettacolo (non informare).
Attenzione! Questa riflessione non ha a che fare con tutto il discorso sulla propaganda russa che finanzia la disinformazione o più banalmente sostiene idee destabilizzanti. È un elemento che c’è stato, c’è e ci sarà, che ha pesato, pesa e peserà (pure parecchio purtroppo), ma qui sto parlando di un aspetto che si sovrappone solo in parte a esso: la senatrice Laura Granato quando dice che Putin ha le sue ragioni viene condivisa milioni di volte grazie ai bot russi, ma non viene invitata a La7 dai bot russi.
Mi piacerebbe che non dimenticassimo ciò che la lente tragica della guerra ha ingrandito per farcelo vedere meglio: trasmissioni come Otto e Mezzo (ma non è l’unica purtroppo) non hanno nulla di informativo. Né possono averlo, per loro stessa natura purtroppo.
E già che ci siamo, ricordiamoci di chi voleva mettere un filo russo alla presidenza della Repubblica, ricordiamoci di chi ha fatto venire in Italia 70 militari russi con la scusa di far venire 20 dottori e 10 infermieri, ricordiamoci di chi ha provato a svendere i nostri porti ai cinesi, di chi non voleva le trivelle e il nucleare rendendoci dipendenti da Putin, di chi ha firmato accordi politici con il partito di Putin, di chi si è avvantaggiato della propaganda della disinformatia di Putin (no-euro, Brexit, Trump, referendum costituzionale in Italia…)
E per tornare al punto dal quale siamo partiti: ricordiamoci di come sono disegnate queste trasmissioni. Se ti piace vedere due che fanno una qualche forma di lotta per decidere chi è più forte, guarda il Judo, la Boxe, il Taekwondo e tanto altro, ma non il wrestling. Diceva Jessica Rabbit: «Io non sono cattiva, è che mi disegnano così». Per Otto e Mezzo e compagnia è lo stesso: li disegnano così, è un copione. E non abbiate paura di farlo notare alle persone alle quali volete bene: vi diranno che è censura, ma non è censura
Ce lo spiega bene proprio Nathalie Tocci, che chiude il suo articolo di lunedì con questa riflessione: «Il paradosso è quando nel nome della libertà di opinione, e quindi della democrazia, si dà spazio alla opinione slegata dalla competenza, aprendo – consciamente o inconsciamente – alla disinformazione e alla propaganda. E infliggendo un colpo letale alla democrazia stessa».
C’è in ballo qualcosa di grosso, quindi. Per questo dovremmo ricordarcene anche dopo che in qualche modo questa guerra sarà finita. La guerra delle autarchie contro le liberal-democrazie non è iniziata con la guerra di Putin e non finirà con la fine di Putin.