«C’è un’incoerenza fra quel che pensiamo e quel che facciamo noi europei. Cerchiamo sempre di normalizzare ciò di cui ci occupiamo. Ora abbiamo questo oltraggio morale, crediamo che Putin abbia perso il senso della realtà, ma siamo convinti che la nostra realtà sia quella vera e quella di Putin sia marginale, deformata. E così lasciamo sempre alla storia il compito di sconfiggere i nostri nemici, non ce lo assumiamo mai noi».
A parlare al Corriere è Ivan Krastev, uno dei politologi più influenti in Europa. «Questa crisi dimostra che gli americani e gli europei possono lavorare bene insieme, ma cosa accadrà nel 2024? Come sarebbe questa crisi con Donald Trump alla Casa Bianca?», si chiede. «A scuola in Bulgaria quando ero giovane avevamo le tipiche discussioni marxiste sul ruolo delle personalità nella storia. Noi ora in Europa parliamo sempre di ragioni strutturali, ma improvvisamente vediamo in molti luoghi il fattore personale. Per capire un regime devi capire come funziona una persona: le sue motivazioni, le sue paure».
«È noto», spiega Krastev, «che Putin ha passato ore a guardare e riguardare gli ultimi minuti di vita di Gheddafi. Quel video in cui veniva preso e messo a morte. Ci dice qualcosa del suo umore apocalittico. È chiaro che si identifica con Gheddafi». Ma «c’è un dettaglio che sottovalutiamo. Nel 2011 Obama riuscì a convincere Mosca a sostenere l’operazione in Libia, dicendo che era solo una no-fly zone e che non si puntava al cambio di regime. Poi è andata com’è andata. E Putin ha finito per convincersi che, qualsiasi cosa facesse, l’Occidente vuole sempre il cambio di regime».
Certo, prosegue, «l’Occidente avrebbe potuto fare cose diverse, ma non è affatto detto che non avrebbe finito per ottenere lo stesso risultato in Putin». Krastev invita a leggere il saggio del 2021 di Putin su Russia e Ucraina che sono “un solo popolo”: «Non parla della Nato, né delle legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia. Quel saggio è il progetto di restaurare la Russia storica. Non ha niente a che fare con l’espansione della Nato, ha moltissimo a che fare con la disintegrazione dell’Unione sovietica e il desiderio di Putin di riscrivere il passato».
In pratica, spiega, «Putin ha creato un sistema così basato su se stesso che non riesce a immaginare una Russia dopo di lui. Sente che deve fare tutto finché è ancora al potere, finché è ancora vivo e lucido. Di qui la scelta del momento e l’intensità della guerra». Ed è per questo che «l’appeasement non è possibile, perché Putin è un politico messianico. Non era così, ma ora sì. Non riesce a fermarsi, perché lui non ragiona in termini di materie prime o di regimi politici. Pensa in termini di missione storica».