Nei sondaggi, ma anche a naso, crescono il Pd e Fratelli d’Italia, cioè le due forze che nei rispettivi campi stanno tenendo ferma la linea occidentale a fianco dell’Ucraina. È forse questo l’effetto-guerra più significativo sugli orientamenti elettorali degli italiani? L’ipotesi, che andrà verificata, è che il Paese reale – non la bolla di Twitter o gli appassionati de La7 – abbia colto il senso di un posizionamento atlantista e europeista nel segno della condanna del neoimperialismo di Vladimir Putin vissuto come un pericolo anche per l’Italia.
In questo quadro ipotetico, il partito di Enrico Letta e quello di Giorgia Meloni appaiono i più “adulti” e più affidabili, laddove – au contraire – Giuseppe Conte e Matteo Salvini scontano le continue giravolte (l’ultima è quella di ieri fatta dall’avvocato, che ha tirato il freno sulla polemica sull’aumento delle spese militari, «non vogliamo una crisi di governo»). La simmetria dei desideri, come nel romanzo di Eskhol Nevo, è dunque perfetta: Letta e Meloni crescono, Conte e Salvini calano.
È vero che i due “adulti” sembrano raccogliere grano seminato da tempo ma sembra plausibile dunque che la fermezza anti-Putin stia dando loro una mano. Fosse così, si potrebbe concluderne che la coerenza paga (nonostante lo strano tweet serale con cui Letta, per seguire il sentiment del collegio di Twitter, ha chiesto chiarimenti a Joe Biden).
Invece l’avvocato del populismo da premier alzava le spese militari e adesso sembra un “giottino”, il Capitano con la pistola ora aborre le armi e via surfando sulle onde di una crisi strutturale: e questo anche si paga, in negativo. Conte sta lentamente affondando la sua barca trasformista che senza la benzina del potere va piano piano alla deriva: ed è possibile che a un certo punto Luigi Di Maio, ormai bene o male attaccato a una logica di governo, lo lasci andare al suo destino separando il suo destino da quello dell’avvocato; così come prima o poi nella Lega è probabile che qualcuno si renderà conto che il “fattore S” è diventato una zavorra che tarpa le ali di un partito che ogni mese perde punti.
Messe così le cose, ecco dunque che si staglia il duello finale Letta contro Meloni. Almeno è quello che entrambi desiderano. Ed è certamente lo schema preferito dal segretario del Pd perché è il meno complicato, quello che più fa rivivere il da lui amato schema bipolare, sinistra contro destra senza arzigogoli politicisti di mezzo: ma è la classica roulette russa, vinco tutto o perdo tutto, è l’azzardo, la presunta scorciatoia verso il potere che può diventare il nodo scorsoio della disfatta finale. La Meloni ha meno problemi: se vince è il trionfo, se perde resterà accoccolata all’opposizione – che peraltro lei ama di più del governo. Ed è un fatto che al Nazareno apprezzino di più la leader di Fratelli d’Italia del caporione leghista e che la preferiscano come avversaria anche per l’inevitabile richiamo antifascista che ella suscita e che farebbe ottimamente da collante all’ennesima gioiosa macchina da guerra.
Sabato, in un informato articolo di Repubblica, si è ripercorsa tutta «l’evoluzione» di Giorgia e si è data notizia di un corso di formazione a cui sono state chiamati persone certo non di destra come Giuliano Amato, Massimo Cacciari e Domenico De Masi: aperture culturali che ricordano l’epoca breve di Futuro e libertà di Gianfranco Fini, il quale ha ripreso contatti diretti con la Meloni, il che spiega l’accresciuto senso politico della giovane leader.
Come si dice scorrettamente nella Seconda o Terza Repubblica, i “candidati premier” sarebbero dunque Enrico e Giorgia che oggi sono dati sostanzialmente alla pari. La buona spinta che stanno annotando sui rispettivi diari potrebbe indurli, secondo alcune voci, ad anticipare le urne a ottobre, senza cambiare la legge elettorale. Altrimenti si andrà a scadenza naturale nella prossima primavera, forse anche meglio perché l’incombenza della legge di Bilancio ricadrebbe ancora sul governo in carica. Ah, a proposito, una domanda finale al segretario del Pd: e Mario Draghi? Si legge ogni tanto di un suo possibile futuro al posto di Ursula von der Leyen o di Jens Stoltenberg: ma se, come è assolutamente possibile, dalle urne venisse fuori un pareggio, potrebbe toccare ancora a lui, a SuperMario. I giovani duellanti dovrebbero aspettare ancora.