«La propaganda si è mossa in ritardo rispetto al passato perché, evidentemente, nelle intenzioni del Cremlino si credeva di poter ottenere una rapida vittoria in Ucraina e presentarsi alla popolazione già a missione compiuta. Questo non è avvenuto e ha comportato, per la propaganda, la necessità di raggiungere e superare la realtà, utilizzando come proprio punto di forza la ripetizione e la presenza su tutte le principali reti del Paese». A dirlo è Giovanni Savino, docente universitario di Storia contemporanea e specialista di nazionalismo russo, che dopo aver vissuto per anni in Russia da qualche giorno è dovuto rientrare in Italia, a seguito delle conseguenze del conflitto.
Quelle comunicazioni “ripetitive” Savino le ha osservate molto da vicino. Ma se il messaggio della propaganda, da anni, cerca di penetrare in modo forte e chiaro con tutti i mezzi possibili – in una società in cui la televisione rappresenta ancora uno dei principali mezzi di comunicazione (in particolare per alcune fasce d’età) – sulla questione ucraina si sarebbero attivate strategie determinanti per recuperare quel ritardo.
«I media statali stanno trasmettendo un messaggio totalmente diverso dall’informazione occidentale. Come era stato annunciato dal presidente Vladimir Putin, il Cremlino ha deciso di avviare “un’operazione militare speciale” per “denazificare e demilitarizzare” l’Ucraina: si descrive il conflitto come un gesto eroico dell’esercito militare russo per salvare il popolo fraterno ucraino», spiega Mara Morini, docente di Politics of Eastern Europe e Scienza politica all’università di Genova, che nel 2020 ha pubblicato, per Il Mulino, “La Russia di Putin” (in cui un capitolo è proprio dedicato al ruolo dei mass media nel consolidamento del potere del presidente).
Ai media non è consentito utilizzare termini come “aggressione”, “guerra” e “invasione” per l’evidente volontà di non creare una massiccia reazione di protesta della popolazione russa.
«Sono stati chiusi – aggiunge Morini – quasi tutti i media indipendenti e i canali social che possono contribuire a diffondere notizie su quanto sta accadendo e solo chi riesce a bypassare la censura, con il sistema Vpn, riesce a trovare fonti alternative. Si è così creata una frattura generazionale che vede i giovani più attenti ai siti occidentali e una popolazione più matura che continua a ricevere informazioni dai mezzi televisivi della propaganda del governo».
E il Cremlino lo sa. «Si tratta di una propaganda che funziona sulle fasce d’età dai 50 anni in su», conferma Savino. «È una scelta consapevole, anche rivendicata in alcune occasioni, come avvenuto a inizio 2021 con le proteste legate al caso di Aleksej Naval’nyj, identificate tout court come intemperanze giovanili. Vi è anche un elemento di solitudine, se ci si pensa, che rende possibile alla propaganda di aver effetto sugli over 50, legato alla onnipresenza del televisore acceso in casa, dove spesso si passa tanto tempo da soli». Discorso diverso per i più giovani, sia tra gli oppositori sia tra i sostenitori di Putin.
Per quanto riguarda un eventuale cambiamento della tv e dei suoi contenuti, Savino spiega che il «mutamento in Russia, propaganda a parte, segue molto quel che avviene anche in Italia. Anche lì vi sono format come i talk show su eventi di cronaca che finiscono in rissa, ma nella comunicazione politica vi è, da più di un decennio, la presenza dei programmi condotti da Dmitry Kiseliov e Vladimir Soloviov, dove il livello di violenza verbale verso potenze straniere, oppositori o spauracchi come il gender, è molto alto e divisivo».
Sull’attuale questione bellica, nello specifico, per il professore italiano, se si osserva ciò che viene trasmesso ora in tv, «l’accento è posto sul nazismo in Ucraina, che serve a fornire una legittimazione nella memoria storica della guerra antifascista del 1941-45, ma in un’interpretazione totalmente nazionalista, dove l’eredità sovietica viene sostituita da valori e discorsi con al centro la missione storica della nazione russa: si tratta anche di un tentativo, come avviene anche in certi media delle democrazie, di disumanizzazione dell’altro, accompagnato all’idea di liberare gli ucraini da un regime di “drogati e nazisti”».
I mass media costituiscono, quindi, ancora la fonte principale di socializzazione politica del cittadino russo a cui va aggiunta l’attività dei “pubblicisti” (cioè i commentatori politici, gli editorialisti e i sondaggisti).
Come analizzato da Morini nel suo volume, secondo diverse ricerche, la maggioranza dei russi riceve informazioni politiche dalla televisione che copre oltre il 95% della popolazione distribuita nelle 11 zone orarie. Anche se può sembrare scontato, il mezzo tv risponde alle esigenze propagandistiche non solo perché veicola il messaggio del Cremlino e i suoi valori, ma ne legittima il potere politico.
«Le reti televisive forniscono informazioni costanti sull’operato dell’amminsitrazione presidenziale e sulle attività quotidiane di Putin», chiarisce Morini. «Negli anni è stata fatta un’operazione di marketing politico volto a creare una specifica immagine del presidente basata sulla forza, sulla determinazione, sul sacrificio e sull’abilità fisica. Inoltre, è stata vietata la presenza nei talk show di alcuni avversari politici, come Naval’nyj, per evitare l’idea di una possibile alternanza di potere e per evitare di dare una voce all’opposizione extraparlamentare».
Per Morini, il ruolo effettivo della propaganda televisiva sul conflitto in Ucraina è stato «determinante» per «cercare di favorire il consenso nei confronti di questa iniziativa e raccontare un’altra versione, difficile da verificare per l’opinione pubblica, che sottolinea la necessità per la Russia di difendersi dagli attacchi dell’Occidente».
L’opera di convincimento passa soprattutto da un’informazione mirata e selettiva dei contenuti, trasmessi tutti i giorni, che alimenta la contrapposizione fra la cultura russa e quella occidentale, ma più favorevole a quella orientale, e descrivendo Putin come un politico al servizio “giorno per giorno” dei russi.
«Bisognerebbe capire se, nell’analizzare la società russa – conclude Savino – riteniamo sia possibile parlare di consenso con le categorie a cui ci hanno abituato il ’900 e le sue società, anche quelle con regimi dittatoriali. La propaganda putiniana è unidirezionale e vede non la partecipazione come principale richiesta al pubblico, ma rendere spettatori i cittadini, che non devono disturbare le autorità e autoconvincersi che il prodotto proposto, cioè il regime, sia insostituibile e ideale. Questo tipo di approccio non richiede la mobilitazione permanente ed effettiva della popolazione, ma la sua totale depoliticizzazione».