A una settimana dal suo primo assalto all’Ucraina, è chiaro che il presidente russo Vladimir Putin è pronto a riportare il paese sotto il controllo politico della Russia. A qualsiasi costo. Non è ancora certo se ciò significhi la piena occupazione e il cambio di regime, ma quella a cui stiamo assistendo è già la più grave crisi in Europa del XXI secolo.
Le terribili conseguenze dell’assalto russo in Ucraina sono già in corso. Non solo il bilancio delle vittime sta continuando a salire, ma migliaia di rifugiati si stanno riversando oltre i confini dell’Ucraina. Sia in Russia che nel resto d’Europa, non passerà molto tempo prima che l’arma a doppio taglio delle sanzioni economiche colpisca il (già aumentato) costo della vita. E mentre sono in corso i negoziati tra le due delegazioni, in una località segreta al confine tra Ucraina e Bielorussia, le previsioni rivelano che questa guerra potrebbe rivelarsi molto più disastrosa del previsto.
Qualche giorno fa Putin ha pronunciato parole molto chiare nei confronti dell’Occidente, dichiarando: «Chiunque tenti di crearci ostacoli e interferire sappia che la Russia risponderà con delle conseguenze mai viste prima. Siamo preparati a tutto». E così, da bravo bullo, Putin ricorre alla minaccia del nucleare.
Che si tratti di mossa difensiva o propaganda, una guerra nucleare sarebbe forse l’unico atto di follia umana che potrebbe causare danni irreparabili alla più grande, globale sfida del nostro tempo: la crisi climatica. Per questo, la Nato, l’Unione Europea e tutti gli altri Paesi stanno facendo di tutto per evitare il confronto diretto, optando invece per imporre sanzioni economiche e politiche alla Russia. Tra queste, anche sanzioni contro le esportazioni di petrolio e gas sovietico.
E pensare che solo tre mesi fa i leader mondiali si sono incontrati al vertice sul clima di Glasgow e hanno firmato obiettivi ambiziosi per ridurre l’uso di combustibili fossili. Ora, le carte in tavola sono cambiate completamente. Il dibattito sull’importanza fondamentale della transizione verso le energie rinnovabili è passato in secondo piano rispetto alla sicurezza energetica poiché l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il più grande fornitore di energia d’Europa, ha provocato pesanti ripercussioni sui mercati finanziari mondiali, spingendo i prezzi delle materie prime energetiche a livelli record (oltre 100 dollari al barile).
Complessivamente, l’Europa riceve più di un terzo del suo gas naturale e il 25% del suo petrolio dalla Russia. Le consegne sono notevolmente rallentate negli ultimi mesi, mentre le riserve in Europa sono scese a solo il 31% della capacità.
Per oltre dieci anni, le discussioni politiche in Europa sulla riduzione di gas, petrolio e carbone hanno posto l’accento sulla sicurezza e sull’ambiente, a scapito di considerazioni finanziarie ed economiche. Ora, secondo Lucia van Geuns, consulente strategico dell’Energy Transition Program presso The Hague Centre for Strategic Studies (HCSS), è il contrario: «I prezzi del gas sono diventati molto alti e all’improvviso la sicurezza dell’approvvigionamento e dei prezzi sono diventati l’argomento principale del dibattito pubblico».
I prezzi alle stelle delle materie prime energetiche hanno già stimolato la produzione e il consumo aggiuntivi di combustibili che contribuiscono al riscaldamento globale; basti pensare che a gennaio (quindi ancor prima dell’inizio della guerra) le importazioni di carbone nell’Ue erano aumentate di oltre il 56% rispetto all’anno precedente. Ora, la rinnovata enfasi sull’indipendenza energetica e sulla sicurezza nazionale può incoraggiare i rappresentanti politici a fare marcia indietro sulle strategie per ridurre l’uso di combustibili fossili. La minaccia agli sforzi di decarbonizzazione colloca infatti la guerra russa in una cornice di conseguenze ancora più disastrose – proprio quando si intravedevano possibili progressi verso una giustizia climatica.
Negli ultimi anni, gli sviluppi della scienza e dell’energia rinnovabile, e le prime, visibili, conseguenze della crisi climatica, avevano spinto l’opinione pubblica verso la necessità di un’azione urgente per il clima. Proprio in questi giorni, inoltre, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha dichiarato: «Gli eventi attuali lo rendono fin troppo chiaro: la nostra continua dipendenza dai combustibili fossili rende l’economia globale e la sicurezza energetica vulnerabili agli shock e alle crisi geopolitiche».
Impossibile mentire: il percorso della transizione energetica europea non è mai stato chiaro e senza ostacoli. Negli ultimi 30 anni, infatti, ci sono stati ben cinque vertici sul clima e i progressi raggiunti dai singoli Paesi e dall’Unione sono sempre stati insufficienti. La guerra tra Russia e Ucraina potrebbe essere solo l’ultima battuta d’arresto di una lunga serie di misure mai effettivamente messe in atto.
Tuttavia, senza una strategia più completa – e che non preveda la Russia – per svezzarsi dal gas, l’Europa non sarà in grado di raggiungere il suo obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, o di raggiungere l’obiettivo del vertice di Glasgow di ridurre a zero i gas serra netti entro il 2050.