Digiuno da TiffanyLe aziende del lusso devono escludere la Russia dal commercio d’oro e di diamanti

La due diligence della catena di approvvigionamento per i produttori di gioielleria diventa fondamentale per evitare che il Cremlino finanzi la sua guerra vendendo una parte delle 2.300 tonnellate di riserve auree. Stabilire la tracciabilità di questo metallo è complicato, ma non impossibile

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Le principali aziende del lusso hanno volontariamente deciso di cessare ogni attività in Russia. Quasi immediatamente LVMH, Kering, Chanel, Hermès, Burberry e Prada. Ma lo hanno fatto poi anche la tedesca Hugo Boss, l’americana PVH, proprietaria di Calvin Klein e Tommy Hilfiger, ha annunciato lo scorso lunedì 7 di aver chiuso i negozi e sospeso le vendite di e-commerce in Russia.

I beni di lusso, in un primo tempo erano stati omessi dalle sanzioni, inizialmente incentrate su operazioni finanziarie, tecnologiche e militari. Ma dallo scorso giovedì per UE, Stati Uniti e altri paesi G7 (Regno Unito, Canada e Giappone) sono entrati a farne parte. 

Di fronte all’escalation bellica la pressione per raggiungere gli oligarchi e i sostenitori del presidente russo dunque cresce.  «Le élite che sostengono la macchina da guerra di Putin non dovrebbero più essere in grado di raccogliere i frutti di questo sistema, dilapidando le risorse del popolo russo», sì si legge nella dichiarazione congiunta dei leader del G7, giovedì 10 marzo.

Venerdì 11, il presidente americano Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che sanziona abbigliamento e gioielli, orologi e automobili, per un controvalore che di 550 milioni d dollari l’anno. A questi si aggiungono articoli come diamanti, liquori e frutti di mare non industriali, per un totale di oltre 1 miliardo di dollari.

Un’ulteriore riflessione è emersa poi grazie a un nuovo collettivo chiamato Global Gold Transparency Initiative composto da attivisti, aziende di gioielleria, funzionari governativi, analisti della criminalità organizzata: esperti che si sono uniti per mettere in guardia chi produce gioielleria utilizzando oro e diamanti. Si tratta infatti di materiali che potrebbero finanziare l’invasione russa dell’Ucraina. 

Lo scorso mercoledì il GGTI ha pubblicato una lettera aperta invitando questa industria a monitorare attentamente le proprie catene produttive assicurandosi di utilizzare fonti primarie responsabili.

La Russia da anni accumula riserve auree reperite più o meno legalmente. La banca centrale russa attualmente detiene 2.300 tonnellate di lingotti d’oro. Secondo il Financial Times, le scorte ammontano a un valore di 142 miliardi di dollari: più o meno l’equivalente del PIL dell’Algeria. Terzo produttore mondiale di oro, la Russia possiede inoltre grandi quantità di diamanti (si stima per 650 milioni di carati), mentre le sue scorte di platino e terre rare non sono valutabili.

Da quando il paese è stato tagliato fuori dai sistemi bancari internazionali, il commercio d’oro e i diamanti offre una scappatoia: l’impossibilità dell’uso Swift non inibisce allo stesso modo queste transazioni.

È dunque logico ritenere che la Russia spingerà il suo oro attraverso le catene di approvvigionamento dei produttori di gioielli: questa industria rappresenta una quota del 36,8% della domanda mondiale, seconda solo alla quantità utilizzata per investimenti (46,64% della domanda mondiale di oro). 

La due diligence della catena di approvvigionamento per i produttori di gioielleria diviene dunque fondamentale: stabilire la tracciabilità di questo metallo è complicato, ma non impossibile.

Oltre alle principali aziende del lusso anche Richemont, proprietario di Cartier, Van Cleef & Arpels e altri marchi di gioielleria, ha smesso di commerciare con la Russia. Oltre a Richemont, Kering (Boucheron, Pomellato…) e LVMH (Tiffany, Chaumet…) possiedono i migliori marchi di gioielleria: così l’americana Signet, è il più grande rivenditore di gioielli con diamanti al mondo. Tutti hanno politiche interne volte a garantire un approvvigionamento responsabile, ma Global Gold Transparency Initiative li ha ora sollecitati a fare di più.

GGTI ha contato inoltre l’adesione di oltre 100 piccoli marchi di gioielleria indipendenti entro un giorno dal rilascio della sua lettera aperta, e ha definito alcune linee guida generali per le azioni che le aziende di gioielleria dovranno intraprendere.