Chissà se un mese fa sui campi di qualificazione degli Australian Open, quando ha detto addio al tennis giocato, Sergiy Stakhovsky si sarebbe mai immaginato di trovarsi in questa situazione.
Sotto i riflettori. Non per un torneo vinto, lui che in carriera ne ha conquistati quattro a livello Atp, non per un match portato a casa – come la sua vittoria più importante, nel 2013, quando sconfisse Roger Federer nel suo giardino di casa, l’erba di Wimbledon – non per una delle sue battaglie per un tennis più giusto, quando da sindacalista non le mandava a dire a nessuno, ma per aver deciso di combattere una guerra che sente sua, per difendere la sua terra contro l’invasione.
Parliamo ovviamente della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Un’aggressione perpetrata da una potenza mondiale e nucleare contro uno Stato sovrano e contro una capitale europea come Kiev. Un fatto che non poteva lasciare indifferente Sergiy, che ha deciso di lasciare la famiglia in Ungheria e unirsi all’esercito ucraino da volontario. Come stanno facendo centinaia di migliaia di suoi connazionali.
«Mia moglie non è contenta, non potrebbe esserlo», ha detto Stakhovsky. «I miei figli sono troppo piccoli, non capiscono cosa stia succedendo, non possono immaginare la guerra. Ma io non potevo sottrarmi a questo dovere. So usare la pistola, spero di non doverlo fare, ma se serve sono pronto a fare qualsiasi cosa per difendere la mia terra dall’invasione russa». Nessun dubbio, nessun tentennamento.
Stakhovsky ha 36 anni e ha raggiunto l’apice della sua carriera a cavallo tra la prima e la seconda decade degli anni duemila, quando ha messo in bacheca quattro titoli e raggiunto la posizione numero 31 del ranking mondiale. Come detto, però, gli appassionati lo ricordano soprattutto per due cose: la sua personalità forte e determinata e quella incredibile vittoria nel 2013 contro il Re del tennis, Roger Federer, al secondo turno di Wimbledon. Vittoria che pose fine ad una striscia di 36 tornei del Grande Slam consecutivi in cui lo svizzero raggiunse almeno i quarti di finale.
Nove anni dopo si ritrova in guerra. Nel senso più reale e drammatico del termine. E oltre a spendersi sul terreno in prima persona, prova a sensibilizzare tutto il mondo del tennis e dello sport in generale. Cosa che stanno facendo, per esempio, anche due campioni russi, Daniil Medvedev e Andrey Rublev, rispettivamente numero uno e numero sei del ranking mondiale, schieratisi con coraggio, fin dalle prime ore, contro la guerra di Putin.
«Sono bravi ragazzi – ha detto di loro Stakhovsky, raggiunto via Whatsapp dalla Stampa – capiscono l’atrocità di questa guerra. Se non altro provano a fare qualcosa, altri non lo fanno. Ho già ricevuto centinaia di messaggi dai tennisti di tutto il mondo, scioccati da quello che sta succedendo. È un aiuto. Vuol dire che capiscono che quanto dice Putin sugli ucraini è falso».
Stefano Cagelli è direttore di Tennis Fever