Pochi hanno notato che, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, la Francia va al voto per le elezioni presidenziali mentre poco distante divampa una guerra spaventosa. Quindi il voto di domani e il ballottaggio del 24 aprile sono destinati ad avere un’influenza importantissima sul conflitto scatenato da Vladimir Putin in Ucraina, e più in generale contro l’Occidente democratico.
I francesi, popolo sempre inquieto e contraddittorio, hanno nelle loro mani non solo l’avvenire del proprio Paese ma anche quello della resistenza – è una parola che in questa fase torna fatalmente in tutti i discorsi – all’offensiva imperialista e reazionaria che si sta esprimendo in Europa con una virulenza mia vista: sono consapevoli di quanto grande sia stavolta la posta in gioco?
La questione è ovviamente molto complessa e il rapporto Ipsos sulle presidenziali fornisce molti spunti di riflessione, ma quello che questo sondaggio infine prevede è la vittoria al secondo turno di Emmanuel Macron contro Marine Le Pen – 54% contro 46%, dunque un vittoria netta del Presidente in carica.
Negli ultimi giorni si è sparso un certo terrore tra i sostenitori di Macron e non solo a causa di una ripresa di Le Pen, che ha evidentemente beneficiato dal grande calo di popolarità di Éric Zemmour, ma è molto difficile che questo recupero basterà a fermare Macron: e d’altra parte non sarebbe la prima volta che ambienti interessati a suscitare un clima d’incertezza elettorale si siano mossi attraverso i sondaggi.
Quello che è certo è che solo la vittoria dell’attuale inquilino dell’Eliseo potrebbe garantire il crescente ancoraggio di Parigi a un’Unione europea che in questo drammatico frangente ha saputo trovare una propria politica estera e una sua unità di fondo, anche grazie allo stesso Macron. Il quale, appena rieletto – e senza il problema di una nuova rielezione – avrebbe una forza straordinaria, non solo per portare avanti le riforme nel suo Paese, ma per giocare un ruolo decisivo nella fase negoziale della guerra che prima o poi si aprirà.
Macron infatti in questo mese – anche perché presidente di turno dell’Unione – è parso l’uomo con maggiori possibilità di parlare con il Cremlino, pur restando non certo per colpa sua puntualmente a mani vuote, cosa che non annulla l’impressione che l’uomo abbia evidentemente una sua inclinazione nei più difficili frangenti internazionali.
Ecco dunque che la questione che molti pongono, quella del supermediatore, potrebbe risolversi proprio con un incarico a lui, formale o informale, di mediazione tra Ucraina e Russia quando finalmente le armi taceranno, e successivamente nella fase di ridisegno di un nuovo ordine mondiale.
Tutte cose che Marine Le Pen, da sempre affascinata dallo zar Vladimir Putin come tutti i reazionari, non sarebbe in grado di fare. La leader della destra francese, non più estrema per via della presenza di un ultrà come Zemmour, ma pur sempre destra borbonica e reazionaria, già sconfitta due volte (prima da François Hollande, poi da Macron), comincia ad avere qualcosa di polveroso addosso. Qualcosa che la terza sconfitta dovrebbe incrostare in modo forse definitivo.
La sinistra, parcellizzata e sempre querelleuse, continuerà a cercare se stessa nei labirinti della propria autoreferenzialità ma fuori dalla possibilità di vincere. E alla fine da lì verrà il sostegno decisivo a Emmanuel Macron, l’uomo che ha le chiavi di una vittoria che dopo quella del socialdemocratico Olaf Scholz in Germania determinerebbero un clima diverso nel Vecchio Continente, basato su un asse riformista con lunghi anni di lavoro davanti a sé.
Domani parla la Francia per le prime indicazioni e l’Europa trattiene il fiato perché davvero il suo futuro passa come non mai da Parigi.