Altri tempiLe Suni e i Vittorio che avranno cent’anni nel 2122

Nessuno avrebbe mai detto che un attore e una ricca di terza generazione sarebbero diventate le menti più sorprendenti dello scorso secolo. Loro però avevano vissuto la guerra. Cosa lasceranno quelli il cui peggior shock è un follower in meno sui social? Dall’ultimo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2022

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Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2022 in edicola a Milano e Roma e ordinabile qui.

Chissà domani su che cosa metteremo le mani, ma soprattutto chissà chi nascerà nel 2022 e non sarà quel che ci aspettiamo da lui o da lei (uso solo due generi perché la mia previsione è che per l’intero 2022 saremo ancora mammiferi, e quindi binari). Nel 1922 sono nati i due più sorprendenti intellettuali italiani del secolo scorso, compirebbero cent’anni una ad aprile e l’altro a settembre, e avrebbe avuto senso aspettarsi fossero ignorantissimi: dopotutto appartenevano alle categorie più ignoranti che esistano, gli attori e i ricchi di terza generazione.

Susanna Agnelli era una bambina sulla spiaggia di Forte dei Marmi quando la madre flirtava con Curzio Malaparte; una ragazza durante la guerra quando era l’unica a dire a Galeazzo Ciano che gli alleati o i tedeschi, ma qualcuno sicuro l’avrebbe ammazzato; una splendida poco più che cinquantenne, all’inizio della propria attività politica (vent’anni dopo sarebbe diventata ministro degli Esteri), quando pubblicò uno dei più favolosi e sottovalutati romanzi del Novecento italiano, “Vestivamo alla marinara”.

Vittorio Gassman era un bambino che pomiciava con la figlia del portiere, Andreina; un giovane attore ambizioso che sposò la nipote d’uno dei più importanti attori d’inizio secolo (prima di quattro mogli); un bugiardo convertitosi a una sincerità ai limiti della maleducazione; un depresso che diceva d’aver deciso di scrivere la prima delle sue autobiografie per arginare la depressione, ma era evidente l’avesse fatto perché era il più magnifico degli esibizionisti. Mi convinse che volevo fare l’attrice pubblicando “Un grande avvenire dietro le spalle”, un libro che quanto a stupendezza di titolo è finalista con “Vestivamo alla marinara”, e che m’illuse che tutti gli attori fossero spiritosi, colti, intelligenti (incrociai troppo tardi quel Bianciardi che definiva un collega di Gassman «ignorante come un carabiniere»: ormai il danno era fatto).

Aveva, Gassman, un certo qual orecchio per le grandi frasi, quelle che oggi metteremmo sotto le foto mezze nude su Instagram, e allora si mettevano nei libri. Gli piaceva molto il “Kean”, il testo di Dumas riscritto da Sartre, e il suo monologo sul fare teatro, che sulla me bambina fece quasi più colpo di “Violetta la timida”. «Non si recita per guadagnarsi il pane! Si recita per mentire, per smentirsi, per essere ciò che non si è, e perché se ne ha abbastanza di essere ciò che si è. Si recita perché si è dei bugiardi fin dalla nascita».

L’aveva tradotto lui, di nuovo illudendomi; questa volta che, oltre che colti, gli attori fossero pure poliglotti. Ci avrei messo troppissimi anni a capire che mediamente neanche sapevano fare un accento d’una regione diversa dalla loro, figuriamoci avere familiarità con altre lingue. Ci avrei messo una vita a capire che di Gassman c’era solo Gassman.

(Uno dei nipoti di Vittorio Gassman, Leo, fa il cantante; mesi fa ho visto un titolo in cui si parlava di «Gassman padre»: mi hanno dovuta defibrillare, e poi con calma spiegarmi che ora «padre» si usa per il figlio, cioè per Alessandro, giacché il Gassman famoso è il nipote, e il nonno i viventi mica se lo ricordano. D’altra parte quando cito “Il sorpasso”, cioè la più supercalifragilistica commedia italiana degli ultimi sessant’anni, c’è sempre qualche lettore che mi dice che devo piantarla con questi film di nicchia. Mi viene da rispondere come Bruno Cortona, «sono veramente sorry», ma poi temo non capiscano la citazione).

Se il mio colore preferito in “Un grande avvenire dietro le spalle” è la maramalderia, il mio colore preferito in “Vestivamo alla marinara” è l’ostentazione dei complessi sociali. Tanto le nanny inculcano alle bambine complessi di superiorità – «Don’t forget you are an Agnelli» – tanto più lei ostenta senso d’inadeguatezza. C’è una sublime mezza paginetta, all’altezza delle sue scuole medie, in cui passano la Pasqua a Roma dalla nonna, che Suni chiama quasi sempre “Princess Jane”.

«Per Pasqua ci portano a Roma e Princess Jane dà una festa a cui invita tutti i bambini per bene della capitale. Sono quasi tutti principi o principesse. “Come puoi, Virginia, vestire le tue figlie così male?”, ci guarda inorridita Princess Jane, “sembrano le figlie del droghiere vestite di velluto verde”. “Smettila, mamah!” mia madre è furente. Per noi la festa è una battaglia disperata per sopraffare l’orrore di sembrare le figlie del droghiere. I bambini romani non ci rivolgono, comunque, la parola. Parlano l’italiano con accento inglese e non capiscono come si possa vivere a Torino. Vivono in palazzi stupendi con giardini sulle terrazze e in questi giardini sono nascoste le uova di Pasqua. Non vanno a scuola, vanno a fare i picnic alla Villa Doria. Le ragazze vengono chiamate donna Topazia, o donna Babù, o donna Francesca. A noi ci chiamano per nome».

“Vestivamo alla marinara” è del 1975. Nessuno mi convincerà che il personaggio disperatissimo di Teresa, quella che in “Rimini” faceva «un errore di saggezza: abortire il figlio del bagnino e poi guardarlo con dolcezza», Fabrizio De André non l’avesse scritto ispirato da Suni: «Voi che siete a Rimini, tra i gelati e le bandiere, non fate più scommesse sulla figlia del droghiere». (“Rimini” è del 1978. Sì, lo so: probabilmente è solo perché “droghiere” faceva rima con “bandiere” – ma lasciatemi sognare in pace).

Oltre a tutto il resto, Gassman è anche stato il prototipo d’ogni schiantato dell’internet cui urge dirti quanto gli dispiaci. Lo racconta descrivendo la maniacalità della propria fase sincera (era meglio da bugiardo): «Stavo in un night con una ragazza, quando vidi entrare un gruppo elegante e rumoroso in cui faceva spicco Romy Schneider. Sentii d’improvviso l’impulso di manifestarle un’antipatia, che, senza conoscerla, mi aveva sempre ispirato. Le feci recapitare un biglietto in cui più o meno era scritto così: “Cara signorina Schneider; approfitto di quest’occasione per dirLe con tutto il rispetto che Lei mi sta sui coglioni da anni. La prego di non interpretare il mio biglietto come un tentativo di approccio, perché – pur riconoscendole molto fascino oggettivo – non sono per nulla attratto dall’idea di andare a letto con Lei. Cordialmente, Vittorio Gassman”».

Mi piacciono moltissimo le maiuscole da circolare ministeriale, ma ancora più l’epilogo, in cui il fanfarone (“Le Fanfaron” era l’adeguatissimo titolo francese del “Sorpasso”) racconta di aver, mentre scriveva le sue memorie, incontrato la Schneider ai César, i premi del cinema francese, e che lei era stata gentilissima. Concludeva che o non aveva buona memoria, o aveva voluto dargli una lezione di civiltà. «La terza ipotesi – fastidiosa – è che all’epoca il mio nome non le dicesse niente».

Potrei fare qualunque ipotesi sugli eredi culturali di Suni e Vittorio che nasceranno quest’anno, certa di non essere smentita: nel 2122 sarò morta io che scrivo ma pure voi che leggete. Però c’è un ostacolo, al loro divenire rilevanti per qualcuno che nasca tra cinquant’anni quanto Gassman e la Agnelli lo furono per me. Sebbene descrivano in modo molto diverso le loro esperienze – la Agnelli si tratteggia come una crocerossina rigorosa e incorruttibile, Gassman come un granatiere cialtrone la cui madre andava a frignare dai superiori che suo figlio non era fatto per combattere – quei due avevano fatto la guerra.

Noialtri, che al massimo abbiamo visto il terrorismo in tv, al massimo ci hanno tenuti un giorno a casa da scuola perché avevano rapito Moro, già abbiamo faticato a simulare un’epica. Ma quelli di oggi, il cui massimo trauma è che qualcuno smetta di seguirli su Instagram, che memorie potranno mai scrivere, tapini?

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