Reazione a catenaLa crisi alimentare provocata dalla guerra colpisce anche la produzione di biocarburanti

Russia e Ucraina sono tra i principali produttori ed esportatori di grano e olio di semi di girasole: il conflitto ha strozzato l’offerta sul mercato, con conseguenze globali. Secondo il World Food Programme saranno 47 milioni le persone che rischiano di soffrire la fame. Intanto le materie per il biodiesel vengono convertite per arrivare in tavola

L’invasione russa dell’Ucraina sta avendo conseguenze di ogni tipo, in tutti i settori, a ogni livello. Uno dei tanti effetti dannosi della guerra è la nuova crisi alimentare, tema che non a caso è prioritario nelle riunioni primaverili di questa settimana della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale.

Ucraina e Russia producono circa il 14% del grano mondiale, sommano il 30% delle esportazioni mondiali di grano e il 60% di quelle di olio di girasole. Queste forniture sono a rischio: la Russia ha sospeso le esportazioni di cibo e fertilizzanti, mentre gli agricoltori ucraini non riescono a lavorare a pieno regime per ovvi motivi.

Almeno 26 Paesi, tra cui Somalia, Senegal ed Egitto, dipendono da Russia e/o Ucraina per i rifornimenti di grano, alcuni importano da questi due Paesi anche il 100%. Se la guerra continua, molti Stati già gravati dai debiti a causa della pandemia potrebbero essere costretti a chiedere nuovi prestiti per gli approvvigionamenti per gli alimenti di base, creando difficoltà a catena.

Ma la crisi alimentare non riguarda solo Russia e Ucraina. In totale sono 16 i Paesi hanno vietato o limitato le esportazioni di cibo: una sensibile riduzione dell’offerta mondiale che sta alimentando l’inflazione. «Nel loro insieme, gli impatti di queste decisioni potrebbero essere catastrofici per alcune delle persone più povere e vulnerabili del mondo», scriveva Nature in un articolo pubblicato la settimana scorsa.

Anche il Programma alimentare mondiale (World Food Programme, Wfp) è al lavoro per ridurre le conseguenze dell’aumento dei prezzi del cibo. Un rapporto appena pubblicato dalla più grande organizzazione umanitaria al mondo avverte che i costi delle sue operazioni globali – che ogni anno aiutano circa 80 milioni di persone in tutto il mondo – dovrebbero aumentare di 29 milioni di dollari al mese. «Questo potrebbe significare un disastro per milioni di persone, poiché il Wfp aveva già avvertito che il 2022 sarebbe stato un anno di fame catastrofica, con 44 milioni di persone in 38 Stati in bilico sull’orlo della carestia», si legge in un articolo di presentazione del report.

In totale, il Programma alimentare mondiale prevede che l’aumento dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina potrebbe lasciare 323 milioni di persone nella morsa della fame in tutto il 2022, 47 milioni in più rispetto alle previsioni in assenza di questa guerra insensata.

Al fianco della crisi alimentare se ne aggiunge poi una legata ai biocarburanti, cioè i combustibili ottenuti dalle biomasse: grano, mais, bietola, canna da zucchero, olio di palma.

All’inizio di aprile la Finlandia è diventata il primo Paese dell’Unione europea a intervenire a livello legislativo per ridurre la quantità di componente rinnovabile negli obblighi di miscelazione del carburante; la Svezia ha proposto di congelare le sue previsioni per il 2023 sui livelli del 2022; la Grecia ha dichiarato che potrebbe destinare al settore alimentare l’olio di girasole originariamente previsto per il biocarburante; la Croazia ha ritirato le sanzioni inflitte a chi non rispetta gli standard per la miscela dei biocarburanti.

Perché, va ricordato, in tutta l’Unione europea c’è l’obbligo di aggiungere a benzina, gasolio e metano una quota di biocarburanti almeno intorno al 10% – che dovrebbe diventare il 17% entro il 2030.

«In tutta Europa e nel mondo le coltivazioni attualmente destinate ai biocarburanti potrebbero essere riconvertite in colture alimentari», si legge su Nature. D’altronde ogni giorno in tutto il continente diecimila tonnellate di grano vengono trasformate in etanolo con cui produrre il biocarburante per le automobili.

Da Bruxelles arriva il semaforo verde per questo tipo di decisioni, vista la crisi del momento. «La Commissione europea sta sostenendo i potenziali sforzi degli Stati membri per ridurre la velocità con cui i produttori di carburante devono miscelare i biocarburanti a base di colture per destinare più campi alla produzione di cibo», come ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis.

La maggior parte dei biocarburanti utilizzati nell’Unione europea proviene da colture alimentari. Come sottolineato da Tiziano Rugi su Economia Circolare, «il 78% del biodiesel è prodotto con oli ricavati dalla palma e dai semi di soia, girasole e colza, ma l’Unione europea e il Regno Unito non hanno una produzione significativa di olio di palma e soia nel loro territorio e importano da altre nazioni. Nel caso dell’olio di semi di girasole e semi di colza, le colture ci sono, ma c’è ugualmente bisogno di acquistare dall’estero: molte di queste importazioni arrivano proprio dall’Ucraina».