Liberi da PutinCinque soluzioni concrete per non dipendere più dal gas della Russia

Mosca è il nostro principale fornitore energetico, ma ci sono altri Paesi disposti a fare affari con l’Italia. Ridurre e forse abolire la dipendenza ora è possibile

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Dopo tutte le sanzioni introdotte in occidente nei confronti della Russia un solido cordone ombelicale resiste intoccato, garantendo flussi finanziari verso l’invasore che sarebbe invece opportuno recidere al più presto. Nel cordone transitano verso di noi grandi quantità di petrolio e gas, conseguenza della dipendenza energetica dell’Europa e dell’Italia dalle consistenti risorse che giacciono nel sottosuolo della sterminata federazione russa. In direzione contraria transitano invece i pagamenti, centinaia di milioni al giorno che vanno inevitabilmente ad alimentare le spese militari dell’invasore.

È stato calcolato che dall’inizio della guerra i pagamenti europei in cambio delle forniture energetiche della Russia siano stati pari a più di venti volte gli aiuti, militari e civili, concessi all’Ucraina. In sostanza, adattando un vecchio slogan italiano, “Il metano gli dà una mano”. A Putin, evidentemente.

Da un punto di vista strategico l’essere obbligati a finanziare l’aggressore per un multiplo rispetto all’aggredito è una pessima condizione che dovrebbe essere eliminata quanto prima possibile. Ma come è possibile farlo? E, inoltre, come è nata la dipendenza energetica della Russia? Era davvero inevitabile? Provo a rispondere in relazione all’Italia e al gas, per il quale la dipendenza, legata ai gasdotti esistenti, alla loro capacità e ai contratti in essere, è molto più forte rispetto al petrolio, per il quale i paesi fornitori sono più facilmente sostituibili.

In primo luogo conviene ricordare alcuni dati di sintesi del mercato del gas:

1. Il fabbisogno nazionale è quasi interamente coperto dalle importazioni.

2. La produzione nazionale è costantemente diminuita nell’ultimo ventennio, scendendo dai quasi 14 miliardi di metri cubi del 2003 ai 3,3 miliardi del 2021. All’inizio del periodo essa copriva circa il 18% del fabbisogno nazionale, lo scorso anno meno del 5%.

3. Il peso relativo delle importazioni è dunque cresciuto nel tempo ma esse sono diminuite in valore assoluto in quanto il fabbisogno complessivo di gas si è ridotto. Nei sei anni tra il 2003 e il 2008, che hanno preceduto la recessione del 2009, l’import annuale di gas è stato in media di 74 miliardi di metri cubi; nel successivo periodo 2009-2014, caratterizzato dalla doppia recessione italiana che ha contratto i consumi, di soli 66 miliardi; infine nel periodo 2015-21 è risalito a 70 miliardi medi annui, senza ritornare ai livelli pre crisi, e lo scorso anno è stato di 73 miliardi.

4. Il gas importato arriva in Italia principalmente attraverso gasdotti e da pochissimi paesi fornitori, solo cinque, dunque con un elevato rischio geopolitico: la Russia, l’Algeria, la Norvegia e la Libia, ai quali, grazie al TAP pugliese inaugurato due anni fa, si è aggiunto l’Azerbaigian. A essi si aggiunge l’importazione tramite navi gasiere da paesi non collegati da gasdotti di gas liquefatto, destinato a essere rigasificato attraverso appositi impianti che tuttavia in Italia sono solo tre.

Questo quadro relativo ai nostri fornitori non può essere radicalmente mutato nel breve periodo e probabilmente neppure nel medio. Esso è vincolato dai gasdotti esistenti, dalla loro capacità di trasporto, dalla capacità degli impianti di rigasificazione e, ovviamente, dai contratti esistenti, i quali appaiono l’elemento più facilmente modificabile, ovviamente se le controparti fornitrici sono d’accordo.

Dati questi vincoli è possibile incrementare gli acquisti da tutti i fornitori diversi dalla Russia al fine di ridurre la dipendenza da essa? E se lo si fa nella misura maggiore possibile con ognuno, quanto gas russo possiamo evitare di acquistare? Una prima constatazione è che l’approvvigionamento dalla Russia negli ultimi anni è stato ai suoi massimi storici: 29 miliardi di metri cubi nel 2021, 28 nel 2020 e 30 nel 2019, 2018 e 2017. La soglia dei 30 miliardi fu raggiunta la prima volta nel 2013, anno in cui vi fu un improvviso balzo dai 24 miliardi dell’anno prima, valore peraltro identico al dato medio annuo tra il 2003 e il 2012.

Perché questo incremento improvviso e consistente, pari a un +25%, nel 2013, anno in cui le importazioni totali di gas calarono quasi del 10%? Ragioni economiche o geopolitiche? Perché la quota russa sul nostro import passò in quell’anno dal 35 al 49%? È opinione consolidata tra gli esperti che si sia trattato di ragioni economiche, cioè prezzi più bassi, dal lato dei compratori, non solo l’Italia, e di ragioni geopolitiche dal lato del venditore. In sostanza la Russia avrebbe proposto prezzi convenienti, sensibilmente più bassi dei concorrenti, al fine di accrescere le quantità erogate e con esse rendere dipendenti i paesi acquirenti.

Chi ha fatto le spese dell’incremento di acquisti dalla Russia, dato che non sono serviti a soddisfare un maggior fabbisogno bensì un minore fabbisogno italiano? È vero che era in corso una riduzione degli acquisti dalla Libia, compromessi dalle vicende che avevano portato nel 2011 alla deposizione di Gheddafi, ma essi erano compensati da un più consistente calo del fabbisogno. Dunque non era questa la motivazione. A farne le spese fu principalmente l’Algeria. Gli acquisti italiani scesero infatti dai 21 miliardi del 2012 (ma erano stati 26 nel 2010) a solo 12 nel 2013 e 6 nel 2014 e nel 2015. Poi sono risaliti, ma restando sotto i 20 miliardi, soglia che è stata superata solo lo scorso anno.

Una volta emersa la crisi russa, poco più di un mese fa, il governo italiano si è mosso con rapidità per ripristinare quanto più possibile la fornitura algerina, trovando porte aperte dal governo di quel paese. È stato così possibile sottoscrivere un importante accordo durante la visita di ieri di Mario Draghi il quale porterà, secondo quanto pubblicato per primo da Bloomberg, a una fornitura aggiuntiva di 9 o 10 miliardi annui, portando già nel 2022 il totale algerino dai 21 miliardi a 30 o 31, a fronte di una capacità massima del gasdotto esistente stimata in 33 miliardi.

In questo modo sarà possibile abbattere già quest’anno la dipendenza dalla Russia dai 29 miliardi del 2021 a 20 oppure 19. È possibile fare di più? La risposta è affermativa. Intanto dallo scorso anno è pienamente operativo il gasdotto TAP pugliese, la cui costruzione fu tanto contestata e grazie al quale nel 2021 sono arrivati più di 7 miliardi di metri cubi dall’Azerbaigian.

Lo scorso anno il loro acquisto è stato compensato, anche in questo caso si ipotizza per ragioni di prezzo, diminuendo il gas norvegese che arriva nel nostro paese transitando dall’Olanda. Esso è infatti sceso dagli 11 miliardi del 2020 a solo 2 nel 2021. Sono 9 miliardi in meno che non dovrebbe essere difficile recuperare, al fine di sostituire altrettanto gas russo. In questo modo la dipendenza dalla Russia scenderebbe a soli 10 o 11 miliardi, poco più di un terzo rispetto agli acquisti annui storici.

È possibile disfarci anche di questi ulteriori 10 o 11 miliardi di metri cubi? Sembrerebbe di sì, e in un tempo non lunghissimo, attraverso un mix di cinque differenti soluzioni:

1. In primo luogo il massimo approvvigionamento annuo dell’Italia dalla Norvegia fu di quasi 18 miliardi, 7 in più di quelli da noi acquistati tre anni fa. Una parte di essi, ad esempio 3 oppure 4, sono ulteriormente recuperabili? Se la risposta è affermativa facciamolo di corsa.

2. La capacità attuale dal gasdotto TAP è di 10 miliardi annui, 3 in più di quelli trasportati nel 2021. Ottima cosa cercare di acquisirli.

3. Senza necessità di raddoppiare i tubi ma aggiungendo una stazione di pompaggio la capacità del TAP può essere raddoppiata a 20 miliardi. In questo caso serve assai più tempo ma è buona cosa iniziare a muoverci in questa direzione.

4. La fornitura dalla problematica Libia si è ridotta a 3 miliardi nel 2021 ma era di quasi 6 due anni prima e 7 nel 2015, dunque parecchio dopo la caduta di Gheddafi. È possibile recuperare qualcosa anche da qui?

5. Infine la produzione nazionale, che si è continuamente ridotta nel tempo, scendendo da 14 miliardi del 2003 ai poco più di 3 nel 2021. Anche in questo caso qualcosa sembra ragionevolmente recuperabile, senza necessità di trivellare tutto l’Adriatico.

In sostanza, mettendo assieme tutte queste soluzioni, il cordone ombelicale che ci rende dipendenti dal gas russo, può essere drasticamente ridotto nella sua portata e forse anche reciso, evitandoci di finanziare ulteriormente la spesa bellica con cui Putin massacra gli ucraini.

Graf. 1 – Disponibilità di gas in Italia per origine (mld. di metri cubi)

Fonte: Elaborazione su dati del Ministero dello sviluppo economico.

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