“Per chi sorridere e scherzare ancora” si domandava giusto cinquant’anni la cover (la prima delle tante che sarebbero seguite) di una famosa hit dei gallesi Badfinger. Trasferendo l’interrogativo dal piano dei lamenti canori dell’innamorato rimasto senza lei (Without You era il titolo della versione originale) a quello del linguaggio senza senso (del ridicolo), potremmo oggi rispondere: per chi usa “per” senza sapere quel che dice. In prima fila, segnatamente, i telecronisti e teleopinionisti sportivi, impareggiabili propalatori di spropositi grammaticali (di cui ci siamo già occupati in questa rubrica). In effetti non si sa se sorridere, scherzarci su o piangere. Sentite qua.
“Trenta gol per lui nella scorsa stagione”. Vorrà dire che qualcuno glieli ha dedicati? Che sono stati segnati da altri per sostenere una qualche sua causa (del tipo: ogni 30 gol di Tizio e Caio, “lui” otterrà un aumento di stipendio)? No, vuol dire che è stato lui a segnarli. Bravo, vediamo se saprà ripetersi; non si ripeta invece chi pronuncia simili sciocchezze.
“Trent’anni per lui”. Di galera? Cosa avrà mai combinato… Di contratto? Ma nemmeno Buffon… No, vuol dire soltanto che ha trent’anni di età.
“Trenta milioni per lui”. Nel senso che glieli danno di ingaggio? Ma non è mica Cristiano Ronaldo… No, vuol dire che quella è la cifra transitata da un club all’altro per acquisirne il cartellino. E in questo caso il “per” potrebbe pure avere una sua ragion d’essere, se sottintendesse un verbo – per acquistarlo, averlo, ingaggiarlo. Ma tranquilli, non sottintende proprio niente, anche qui è utilizzato come negli esempi precedenti. Ossia a sproposito.
La preposizione “per” può esprimere un’ampia gamma di relazioni, dal complemento di causa (“trema per la paura”) a quello di colpa (“lo condannarono per tradimento”), da quello di vantaggio (“è morto per la Patria”) a quelli di scopo (“lavoro per guadagnare”), di maniera (“lo volle per forza”), di mezzo (“ti scriverò per espresso”), di stato in luogo (“si sedette per terra”), (di moto per luogo (“gira per la città”), di moto a luogo (“partì per Parigi”), di tempo determinato (“finirò i compiti per l’ora di cena”), di tempo continuato (“sono rimasto in casa per tutto il pomeriggio”), di limitazione (“per me questi calcoli sono sbagliati”), di distribuzione (“uno per ciascuno”; esempi in gran parte ricavati dal Dizionario linguistico moderno di Aldo Gabrielli, Mondadori 1956) e altri ancora. Mai può servire per rendere, sia pure in forma ellittica, il complemento di agente, come nel caso dei “trenta gol per lui” (mentre negli altri casi calcistici citati più sopra il “per” è semplicemente insensato). Come si è arrivati all’errore da matita blu?
Prima di diventare moneta corrente nelle telecronache sportive, per la verità, questo uso, o meglio (peggio) abuso, aveva avuto una limitata circolazione in qualche frontespizio editoriale, nei casi in cui il titolo precedeva il nome dell’autore: ad esempio “Amore e ginnastica per Edmondo De Amicis” dove nel “per” si risente l’eco del quasi omofono par francese che esprime, questo sì, il complemento d’agente. E al proposito va notato come uno schietto (ormai preponderante) francesismo sia anche l’espressione “finire per” (finir par), mentre a unire il verbo finire con un altro verbo all’infinito l’italiano corretto vorrebbe la preposizione “con”.
Ma è difficile credere che in un’Italia ormai poco avvezza alla lingua dei vicini d’Oltralpe sia ancora l’influenza del francese a determinare gli utilizzi impropri di “per”. Si potrebbe forse pensare al più masticato inglese by, che tra le alte funzioni ha quella di introdurre il complemento d’agente (“A painting by Francis Bacon”, “Thirty goals by Cristiano Ronaldo”) e tra le possibili traduzioni anche “per”. In ogni caso, l’uso (abuso? sopruso?) di questa preposizione per esprimere quello che in francese e in inglese sarebbe un complemento d’agente e da noi è un complemento di specificazione (dell’autore) era stato perpetrato già all’epoca delle prime “radio libere”, quasi mezzo secolo fa, da speaker improvvisati che non solo dovevano avere scarsa dimestichezza con le lingue straniere, ma anche – tutto lasciava sospettare – con quella materna: “Prossimo brano, Isn’t she lovely per Stevie Wonder”, “Ancora tu per Lucio Battisti”. Naturalmente il tutto condito da uau e gridolini vari, e accompagnato – ancora oggi – dalle imprescindibili telefonate degli ascoltatori smaniosi di “dedicare questa canzone per” (“per il mio ragazzo”, “la mia amica che si è presa il covid”, “la mia mamma che oggi è il suo onomastico”).
Ma per l’amor del cielo!, non resta che dire facendo ricorso al valore interiettivo. La preposizione batte dove la lingua duole.