Ma perché c’è questa moda di scrivere Il Nome della Rosa, Uno, Nessuno e Centomila, Delitto e Castigo, Le Mille e Una Notte? Oppure, per non limitarci alla letteratura, Il Lago dei Cigni, Casa di Bambola, La Dolce Vita, Il Cavaliere Azzurro?
I titoli con tutte le iniziali maiuscole: sta diventando la regola. Un altro supino appiattimento sulla consuetudine anglosassone, che nella nostra lingua va contro tradizione e necessità. In italiano e in genere nelle lingue neolatine la convenzione vuole la maiuscola soltanto per la prima lettera del titolo – oltreché, naturalmente per i nomi propri di persona o di luogo che ne fanno parte (Il fu Mattia Pascal, Le tigri di Mompracem). In inglese le cose sono un po’ più complicate, perché vanno in maiuscolo tutti i nomi, propri e comuni, gli aggettivi, gli avverbi, i verbi e i pronomi, ma anche le preposizioni che constano di almeno cinque lettere, mentre quelle che ne hanno di meno, al pari delle congiunzioni che si trovano nella medesima situazione, vanno minuscole, come pure gli articoli determinativi e indeterminativi e il “to” dei verbi all’infinito.
Un bel garbuglio, vero? Ma allora perché scimmiottarlo quando traduciamo o rititoliamo un titolo inglese, o peggio ancora quando innoviamo “maiuscolarmente” un più mite titolo italiano (o comunque non inglese) di tradizione consolidata? Dando così origine a baldanzose mutazioni quali Il Barone Rampante, Lessico Famigliare, Alla Ricerca del Tempo Perduto (ma tanto i raffinati opteranno sempre per La Recherche…), che più che la sicumera, in effetti, fanno venire in mente le tragiche acconciature cotonate di moda negli anni Sessanta. Qualcuno, per non sbagliarsi, mette in maiuscolo tutto, più anglista dell’anglais: I Predatori Dell’Arca Perduta, Il Signore Degli Anelli, Di Là Dal Fiume E Tra Gli Alberi. Ma qui siamo oltre.
Qualche motivata eccezione, per la verità, l’italiano la può ammettere. Il Conte di Carmagnola, per esempio, perché si riferisce proprio a quel Conte lì, l’antonomastico, non a un conte qualsiasi che dimorava a Carmagnola. Oppure, per restare a Manzoni, I Promessi Sposi, che fin dall’Ottocento si alternano alla forma meno pettoruta I promessi sposi (del resto, nel frontespizio della prima edizione del 1825-27, come in quello della seconda del 1840-42, il titolo aveva tutte le lettere maiuscole e quindi liberi tutti). O anche, risalendo più indietro, l’Orlando Furioso (a sua volta tutto in maiuscolo, com’era consuetudine, a partire dal frontespizio della prima edizione, datata 1516). Ma l’eccezione più rilevante è la Divina Commedia, che poi vera eccezione non è, in quanto il titolo originale apposto dall’autore era semplicemente Commedia (o meglio Comedia) e l’aggettivo Divina fu aggiunto da Boccaccio a metà del Trecento, nel Trattatello in laude di Dante, per diventare canonico due secoli dopo.
In generale è tutta la materia delle maiuscole a dare problemi. Si scrive San (Francesco, per esempio) o san? Dott.(or) oppure dott.? Prof.(essor) o prof.? On.(orevole) o on.? Sen.(atore) o sen.? Avv.(ocato) o avv.? Ing.(egner) o ing.? Cav.(alier) o cav.? Risposta: si scrive sempre minuscolo – purché naturalmente la parola non cada all’inizio del periodo – perché si tratta di aggettivi o titoli di studio o d’onore e non di nomi propri; a meno che, di nuovo, non sia il caso di antonomastici (il Santo, che a Padova è per tutti sant’Antonio e anche la sua chiesa; l’Avvocato, ossia Gianni Agnelli; il Professore, che può essere riferito a varie persone ma negli ultimi anni si è riferito soprattutto a Romano Prodi; il Cavaliere, quale è stato, prima di essere disarcionato per una storia di frode fiscale, Silvio Berlusconi).
A volte la smania maiuscolante porta dritto a comiche gaffe. Pensiamo al “Da Vinci”, scambiato per cognome di Leonardo, che diabolicamente ricompare a intervalli regolari sulla carta stampata, mentre nei servizi giornalistici radiotelevisivi è accaduto spesso, nel recente cinquecentenario della morte, di ascoltare nefandezze come “le opere di Da Vinci” o “la tecnica del Da Vinci” (un altro degli infiniti guasti prodotti da Dan Brown con il suo Da Vinci Code?). Al “genio rinascimentale” (come si usa dire con estenuata ritualità per non ripetere il nome del soggetto, perché così raccomandano le italiche norme del “bello scrivere” felicemente ignote agli altri popoli), insomma a Leonardo, in questo, fa mesta compagnia, ma è solo uno tra i tanti, Tommaso d’Aquino, di cui pure si avvicina pericolosamente un anniversario (il 750° della morte, tra due anni), che da lassù inorridirà sentendosi nominare talvolta come “il D’Aquino”, D’Aquino un po’ come D’Annunzio. E si potrebbe continuare, ma de hoc satis.
È sempre in agguato, però, la legge del contrappasso. Per equanimità occorre infatti rilevare che non sempre il minuscolo se ne sta rassegnato a subire le prepotenze del più grosso, ma sa anche prendersi le sue rivincite: quando non dovrebbe. E cioè quando, puta caso, in un testo scritto vengono citati il giornale Il manifesto (per esempio in una criptica frase del tipo “si legge sul manifesto che…”) o (per riesumarli dall’oblio) antichi fogli movimentisti come Lotta comunista o il Quotidiano dei lavoratori, oppure le case editrici E/O o Minimum fax, che per una scelta puramente grafica hanno la testata o il logo scritti interamente con lettere minuscole (e chissà perché è proprio la stampa più a sinistra ad avere manifestato tale preferenza).
Ebbene, ci sarà sempre in questi casi qualcuno che vuol rendere noto di saperla lunga e quindi riprodurrà la forma grafica della testata o del logo, con il risultato che spesso non sarà possibile capire di che cosa si parla, tanto più con la sciatta tendenza giornalistica a trascurare l’uso dei corsivi o quanto meno delle virgolette; e ci sarà magari qualche redattore (di un giornale, di una casa editrice) che correggerà mettendo le maiuscole dove vanno messe, non foss’altro per esigenze di chiarezza, ma poi spunterà di nuovo qualche manina impunita che provvederà e ri(s)correggere, perché anche il proprietario di quella manina la sa lunga, legge i giornali e frequenta pure le librerie, altroché!
E no, cari, perché il nome di un giornale o di un editore, comunque scelga di presentarsi al pubblico, resta pur sempre un nome proprio e come tale va trattato, e quindi se viene citato vuole inderogabilmente l’iniziale maiuscola. Uniformarsi pedissequamente alla grafica del paratesto non ha senso, e se questa fosse la regola dovremmo per coerenza scrivere LA STAMPA e CORRIERE DELLA SERA, tutto maiuscolo, e magari Le Monde e The Daily Telegraph in caratteri gotici. È questo che volete? Ma la coerenza e la ragionevolezza hanno poco spazio nello scrivere così come nel parlare. Tra maiuscole e minuscole è in atto una guerra, e in guerra, come purtroppo vediamo in questi giorni, tutto vale. Peccato non ci sia un Leopardi a raccontare in ottave satiriche la maiusminuscolomachia.