Dieci piccoli convegnistiOrsini, Eschilo e il tempo sbandato dell’opinionismo omnibus

Soncini si è guardata quattro ore di picchiatelli intervenuti al convegno della Commissione Freccé, nonostante Linkiesta non la paghi abbastanza

di Edwin Andrade, da Unsplash

E se il problema non fosse Freccero? Se il problema non fossero i picchiatelli in generale, tantomeno uno dei picchiatelli in particolare, se il problema fosse vivere adesso questo tempo sbandato, frase che forse devo dire di chi è altrimenti l’illusione di avere una cultura avendo Google nel telefono un domani colpirà qualche povero convegnista che declamerà serio «Questo tempo sbandato, come ha scritto la poetessa Soncini».

«La verità è la prima vittima della guerra: no, non è stato Eschilo, ma forse qualcuno riesce a rintracciarmi quella citazione», dice un tizio che non so chi sia (a tredici anni non riuscivo a imparare i nomi leggendo i romanzi di Agatha Christie, era tutt’un tornare alla pagina con la lista dei personaggi, figuriamoci se a cinquanta posso imparare i nomi di quelli che ci spiegano la situazione nell’est d’Europa senza parlarne le lingue).

Il tizio apre le quattro ore di YouTube di cui da un paio di giorni tutti noi autoproclamati intelligenti parliamo, perché questo tempo – oltre che sbandato – è un cruciverba facilitato. I picchiatelli possono parlare di saggi che non hanno capito certi che nessuno si prenda il disturbo di spiegarglieli; gli intelligenti possono parlare di territori che non avevano sentito nominare fino a due mesi fa, tanto c’è Wikipedia; e i sedicenni, invece d’essere considerati quel che sono (gente cui non s’è ancora finito di formare il cervello), possono organizzare convegni in cui spiegarci come va il mondo, e nessuno li manda in camera senza cena ma anzi qualcuno vuole dar loro il diritto di voto (nonostante essi non lo soccorrano nell’attribuzione: era Eschilo? Orsù, il primo anno di filosofia ce l’avete pure fresco, rendetevi utili).

«Dobbiamo nominare Dostoevskij? Dobbiamo nominare cantanti?» dice un altro convegnista, che chissà se intende quello del tempo sbandato, o Povia, o Cristina D’Avena, o vassape’. Chissà in che compagnia l’hanno messo, pòro Fëdor.

Il convegnista senza nome (ne ha uno, ma io l’ho memorizzato meno degli innocenti in Agatha Christie) ci arringa contro l’indocilimento, e io penso al tizio che l’altro giorno, mentre firmavo quattrocento moduli per il rinnovo della carta di credito, arringava i bancari circa non so quale complicazione degli affari suoi con la mascherina calata sotto il mento, e io dicevo a me stessa Soncini, non fare la donna fissata con le mascherine, non dire niente, stai buona, ma dopo dieci minuti quello ha finito di parlare e se l’è tirata su, la mascherina sottomento, prima di uscire, e allora non ce l’ho fatta, ma allora sei scemo che te la metti quando finisci di sputacchiare saliva per sentirti controcorrente e non indocilito, ma allora sei davvero cretino. Non so come non mi abbia portato via la croce verde.

Gramsci ci direbbe che siamo dei poveracci, dice uno dei convegnisti. Gramsci, o forse era Natalino Otto. I nazisti ucraini leggono Dante, inveisce. Forse è un convegno per eliminare il purgatorio e il paradiso, invero noiosissimi, dai programmi scolastici. Tornerebbe tutto, visto che il convegno sta sul canale YouTube degli «Studenti contro il Green Pass», qualunque cosa essi siano (studenti, quindi gente che ha solo il dovere di invecchiare).

«Il punto è che c’è un unico modello, tu puoi dire quello che vuoi, ma non sei scienziato se non dici quello che diciamo noi». Ma, figlio mio, te strascichi tutte le “c”, parli in una lingua che è toscano: non riusciamo a essere prescrittivi con l’italiano e a farti avere una dizione decente, ti pare che riusciamo a esserlo con la scienza? «Questa è un’atmosfera da MinCulPop», dice lui, e mentre io sospiro «ma magari», cita, come ti sbagli, Pier Paolo Pasolini (che lui chiama PPP, perché parla la lingua dei meme, mica quella che richiede troppe sillabe).

«I professori che tornano ora in classe sono uno specchio insopportabile perché ti mettono di fronte al fatto che tu sei stato zitto». Ah, vedi, io pensavo ci mettessero di fronte alla scemenza di non essere stati capaci di procurarci uno stipendio che ci viene accreditato anche se non facciamo il nostro lavoro.

Poi arriva Orsini – di cui ho eroicamente imparato il nome – e dice che se gli chiedono se condanna l’invasione di Putin lui d’ora in poi non risponde, perché è una forma di intimidazione psicologica come essere nero o donna o omosessuale se ti rapinano e sei complice del rapinatore perché hai introiettato la discriminazione (no, non sono io che non so riassumere, è lui che era assente nell’ora di similitudini, probabilmente aveva il morbillo).

Mentre questi cianciavano per tre ore e cinquantacinque (povero pil, poveri noi), e io per tre ore e cinquantacinque li guardavo (Linkiesta non mi paga abbastanza), mi hanno raccontato d’una soldatessa cui l’ammiraglio (o altro superiore in grado, ora non pretenderete impari le gerarchie militari, che neanche s’è messa Agatha Christie a spiegarmele) dice che guardandola lavorare hanno capito che ci vogliono più donne nell’esercito, giacché abbiamo (in quanto nate con la vagina che è praticamente un contenitore per il cambio degli armadi) una grande capacità organizzativa.

Io, che sono dialetticamente scarsa, avrei detto che se è per questo siamo anche sensibili e sappiamo cucinare e sanguiniamo tre giorni senza morire. Lei, che è più sveglia di me, ha spiegato al superiore che l’efficienza che deriva dalla sua presenza è un problema di competizione. Il soldato medio pensa oh, ora non è che ’sta cosa che riesce a fare persino una donna posso non saperla fare io.

E se il problema non fossero gli studenti, i professori, i convegnisti, gli spettatori, gli uomini, le donne, Eschilo, Fossati. Se il problema fosse che una volta cara grazia se guardavamo un Tg all’ora di cena, e nessuno ci chiedeva d’avere un parere su tutto, una posizione rispetto a tutto, un engagement su ogni male del mondo? Se il problema fosse che delegare ci sembra una rinuncia, invece che un privilegio?