Per non dimenticareLe responsabilità del Pd di Zingaretti nel Russiagate di Conte

Nonostante le pressioni interne, il Partito Democratico ha ignorato l’importanza della delega ai Servizi e l’ha lasciata nelle mani dell’allora presidente del Consiglio. Una decisione a metà tra l’ingenuità e la follia, a coronare una delle stagioni più fallimentari della politica. Letta dovrebbe intervenire

Cecilia Fabiano/ LaPresse

Il secondo tempo del pasticciaccio Barr-Conte-Vecchione obbliga ancora una volta a registrare l’incredibile assenza di forza politica, se non l’innovativa dabbenaggine pura Pd, di Nicola Zingaretti. Ma un Pd non solo suo. Questo, innanzitutto, per aver considerato nella calda estate del 2020 non rinviabili al mittente le esplicite pressioni di Donald Trump per la giravolta dell’avvocato del popolo, da premier del governo gialloverde a premier del governo giallorosso. Allora, stupito, ne chiesi conto a un alto dirigente del Partito Democratico che, visibilmente imbarazzato, farfugliò: «Non hai idea delle pressioni da Villa Taverna…».

Preso atto che il Pd, il partito che più di ogni altro può mettere in campo alte figure tecniche per Palazzo Chigi, si è accostumato a subire i diktat di un ceffo come Donald Trump, lo incalzai: «Ma almeno potevate imporre a Conte di assegnare a uno dei vostri la delega ai Servizi». Ulteriore imbarazzo: «Zingaretti e il Pd romano non hanno neanche idea di cosa siano i Servizi. Abbiamo insistito col segretario, ma ci ha risposto che non voleva fare uno sgarbo ai 5Stelle».

Così, Conte, col beneplacito del Pd si è tenuto la delega, ha fatto di Gennaro Vecchione una longa manus sul Dis, sull’Aise e sull’Aisi – e per fortuna che questi ultimi erano diretti da Luciano Carta e Mario Parente che ne hanno salvaguardato autonomia e funzione. Non solo, i due direttori dell’Aise e dell’Aisi hanno tenuto gelidamente distanti i loro uffici dalle richieste di occuparsi, su suggerimento americano, di George Papadopoulos e Joseph Mifsud e dal ben poco limpido ambiente della Link Campus University, vivaio dei mediocri 5Stelle assunti a incarichi di governo.

Naturalmente, Mario Draghi, diventato premier, ha licenziato Vecchione, ha nominato Elisabetta Belloni al Dis e ha interrotto l’uso personale e improprio che dei Servizi ha fatto per più di due anni Giuseppe Conte.

Ma resta la macchia di un Pd incapace di rispettare la tradizione della sinistra che, da Ugo Pecchioli a Marco Minniti, ha sempre considerato i Servizi un punto focale e prezioso delle istituzioni repubblicane e che, nonostante le ripetute richieste del suo responsabile della sicurezza Enrico Borghi perché quella delega venisse affidata ad altri, ha permesso che Conte trattasse il tema come un affare di famiglia.

Questo, per di più, a fronte del fatto inaudito che il presunto scandalo delle trame per favorire Hillary Clinton contro Donald Trump, di cui parlarono William Barr e Gennaro Vecchione, del quale uno snodo sarebbe stato Mifsud, avrebbe fatto capo, secondo il fantasioso Segretario alla Giustizia americano, al governo diretto da Matteo Renzi. Quindi, il Pd, ha ceduto a suo tempo a Conte il pieno controllo politico sui Servizi ben sapendo che il premier favoriva ventre a terra un’inchiesta americana che puntava a incriminare un ex presidente del Consiglio italiano che dal 2020, era anche parte della sua stessa maggioranza parlamentare, quella che addirittura lo stesso Renzi aveva inventato.

Un quadro scabroso dal quale oggi Enrico Letta si tiene inopportunamente lontano.

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