Mario Draghi deve disinnescare due rompicapi che gli ha lasciato, non si sa con quanta malizia, Giuseppe Conte: il comando e il controllo dei Servizi Segreti. Il primo è facilmente disinnescabile dal nuovo presidente del Consiglio: l’Autorità Delegata. Solo cinque giorni prima di dare le dimissioni infatti, il 21 gennaio, mentre cercava disperatamente “responsabili” in Senato per evitare un naufragio ormai certo, Conte vi ha nominato un suo fedelissimo: l’ambasciatore Piero Benassi, che ha subito chiesto dossier di tutti i tipi al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) e all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi).
Ora, Draghi, per la sua esperienza, è cosciente del rilievo immenso che hanno le informazioni riservate e coperte sul terreno economico e delle manovre dei grandi gruppi finanziari e industriali nazionali e internazionali, che ormai sono parte preponderante della attività dei nostri Servizi (oltre alle attività abituali di contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo e al narcotraffico). Per non parlare del ruolo strategico cruciale per gli interessi nazionali della cyber sicurezza. Dunque, Draghi è intenzionato a nominare in quella funzione chiave un suo fiduciario, smentendo Benassi che sostiene tra i suoi intimi di essere in grado di mantenere un posto a cui tiene moltissimo.
Se Draghi nominerà all’Autoritá Delegata un suo fiduciario, come tutto indica, Conte avrà fatto il suo ennesimo pasticcio istituzionale, perché avrà permesso di attingere a informazioni sensibili e segrete a un fiduciario che ha mantenuto la carica per un solo mese.
Il vero problema per Draghi è il rapporto stretto che ha sempre legato Gennaro Vecchione a Conte, dall’ex premier confermato il 25 novembre del 2020 per due anni al ruolo centrale e importantissimo del Dis. Conte ha fatto di tutto, incluso stravolgere la legge sui Servizi del 2007, per tentare di assegnare a Vecchione il controllo esclusivo della cybersicurezza.
Dunque per i prossimi due anni, Draghi avrà ai massimi vertici dei Servizi una persona che, secondo i suoi detrattori, avrebbe facilitato Donald Trump nell’accusare l’Amministrazione democratica di Barack Obama, del suo vice Joe Biden e di Hillary Clinton, ma anche l’ex premier italiano Matteo Renzi, di aver tramato contro Trump nel caso RussiaGate, facendo incontrare, al di là dei loro compiti istituzionali, i dirigenti di Aise (sicurezza estera) e Aisi (sicurezza interna) col Ministro della Giustizia statunitense William Barr nel contesto del pasticcio fantozziano Mifsud-Papadopulos.
Per questo motivo, la permanenza di Vecchione nel ruolo apicale dei Servizi non facilita certo i buoni rapporti tra il governo Draghi e l’Amministrazione Biden. Il neo presidente del Consiglio potrebbe revocare la nomina di Vecchione, ma darebbe scandalo. È probabile che scelga una strada soft: nelle prossime settimane avrà a disposizione circa 500 nomine governative in aziende di alto profilo e nessuno si stupirebbe se Vecchione fosse promosso presidente di una qualche holding di Stato per poi essere sostituito da un dirigente di fiducia di Draghi.
Il nuovo presidente del Consiglio, non va dimenticato, ha strettissimi rapporti con i vertici dei Carabinieri, in particolare col Comandante Generale Teo Luzi, tanto che ha passato molte ore di lavoro del suo pre incarico in un ufficio del loro Comando Generale in viale Romania. Da qui le voci – non verificabili, ma insistenti – che danno come possibili sostituti di Vecchione l’attuale direttore dell’Aisi, generale dei Carabinieri Mario Parente (che scade nell’incarico la prossima estate), o l’attuale vice direttore dell’Aise, il generale dei Carabinieri Angelo Agovino.
Anche nella gestione dei Servizi si sta dunque passando da una logica da Grande Fratello a quella della Scuola di Francoforte.