Brindisi intergalatticiLo spirito eroico ed enoico di Capitan Harlock

La benda sull’occhio, la cicatrice che segna il volto, il mantello che vola alle sue spalle e… un calice di rosso in mano. La serie animata Capitan Harlock (quella “classica”, del 1979) è costellata di riferimenti al mondo dell’enologia, in una trama in cui il vino è ponte tra mondi e persone

“Un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel…”. Seduta sul tappeto, le gambine incrociate, la bambina canta la sigla del suo cartone preferito. La sa a memoria, la sente in continuazione, mentre con la sorella più grande inventa storie fantastiche ambientate a bordo di una nave pirata che attraversa lo spazio. La puntata del cartone è l’evento più importante della giornata, e lui, Capitan Harlock, è presente ovunque, nei disegni della piccola, nel libro che la mamma le legge prima della nanna, su una maglietta messa e rimessa praticamente senza soluzione di continuità tra un lavaggio e l’altro. Anno 1979? No. Oggi, 2022. Elisabetta ha 5 anni, la sorella Laura ne ha 10 e la mamma vive in un perenne stato di commozione il loro improvviso, inaspettato amore per il Capitano. Il libro che le piccole sfogliano era suo e ha più di 40 anni: risale a quando lei era innamorata di Harlock, a quando la sigla della Banda dei Bucanieri suonava in continuazione nella sua casa, intervallata solo dal “click” del mangiadischi. Generazioni unite davanti alla tv dall’amore per quel pirata dello spazio. Conquistate dall’avventura e dal fascino dell’eroe. Quello che sfuggiva alla mamma un tempo, e che oggi le appare chiaro e lampante, è però l’amore che il misterioso Capitano e il suo equipaggio manifestano per il buon vino, per il brandy e per altri liquori. Calici e bottiglie rivestono un ruolo centrale nella vita a bordo dell’Arcadia, il vascello spaziale di Harlock.

Una normale serata tra le stelle
Un vascello pirata attraversa lo spazio infinito. L’Arcadia avanza solenne, e una luce calda si diffonde dal castello di poppa colorando di giallo il buio. Dentro, nei suoi alloggi, a conclusione di ogni giornata di ordinarie avventure intergalattiche, Harlock sorseggia un calice di rosso. Lo fa con calma, mentre parla con Met, la sua amica, la sua confidente: bella, gentile, Met comprende i pensieri del Capitano, al quale ha dedicato la sua intera vita e per il quale ogni sera suona dolcemente l’arpa. I capelli lunghi incorniciano il suo bel viso, privo di bocca: ma non è questa la caratteristica più curiosa di questa affascinante aliena. Met si nutre esclusivamente di alcol. Di qualsiasi genere, dall’ottimo vino che trova negli alloggi del comandante al surrogato che il dottore, perennemente alticcio, produce per confortare l’equipaggio. Sì, perché la ciurma dell’Arcadia è una ciurma di pirati, e non ci va troppo per il sottile: così se Harlock ama centellinare un buon bicchiere per rilassarsi, i suoi uomini hanno gusti meno raffinati, e non è raro imbattersi in bottiglie vuote che rotolano per i corridoi della nave, e in membri dell’equipaggio che ronfano dopo una sonora sbronza. A bordo dell’Arcadia si bevono, oltre al vino rosso e all’alcol home made, fondamentalmente brandy e sakè. Non è dato sapere se sia una scelta dettata dai gusti dei pirati o se sui pianeti colonizzati dai terrestri nel 2977 non si produce altro. Sì, perché tra un migliaio di anni, secondo la visione del mangaka Leiji Matsumoto, i Terrestri si procureranno risorse da altri pianeti. E Harlock, da buon corsaro, intercetta le navi che portano il carico dalle colonie, “per rubare a chi ha di più”. Così lo vediamo, già nel primo episodio, alle prese con una nave da carico, che tra le altre cose trasporta ottimi liquori: ma il Capitano prende solo il grano, il resto, quello che non è indispensabile, non serve.

Anche gli alieni bevono vino
Non solo Met: sono molti gli alieni che bevono alcolici nell’universo di Harlock. La spietata nemica del Capitano, la bellissima regina Raflesia, non disdegna un calice di rosso. Strano, dato che le Mazoniane sono organismi vegetali. Ma molti appassionati delle avventure del pirata dello spazio nutrono il sospetto di una natura umana della regina aliena: quando Harlock la colpisce con la spada, durante lo scontro finale, dal petto di Raflesia esce sangue, a differenza di quanto accade alle sue suddite. Forse per questo la regina sa apprezzare il nettare di Bacco. Ma non è l’unica extraterrestre a saper brindare. Il verdissimo capitano Zoru, di Tobaga, è un soldato dal nobile cuore. Harlock lo invita nel suo appartamento e versa per lui un bicchiere di liquore. «Perché mi hai portato qui e mi offri da bere? – chiede l’alieno – Sono tuo prigioniero e ho tentato di ucciderti». Harlock risponde che è un onore accogliere un valoroso soldato: «che sia nemico o avversario non ha importanza per me». Una risposta che tocca il cuore del soldato, che comprende di trovarsi su una nave libera, dove si combatte solamente per i propri ideali. Racconta la sua storia al Capitano, la sua e quella del suo pianeta, una storia di guerra, di occupazione e di resistenza. E piange. E finalmente accetta di bere con Harlock, che combatte per i suoi stessi ideali. E allora «Goram!» dice l’alieno alzando il calice. È l’augurio che il suo popolo rivolge a un uomo valoroso. L’augurio che Harlock ripete alzando il calice, solo, verso le stelle, dopo che il suo nuovo amico è morto da eroe, sfidando da solo la flotta mazoniana.
Il brindisi, dunque, come ponte tra culture diverse, ma non solo. Il vino sull’Arcadia si trasforma in un’inaspettata medicina, quando l’equipaggio, capitano incluso, è colpito da una strana forma di allergia a un fiore alieno. Come si capisce che l’antidoto è proprio l’alcol? Perché gli unici immuni sono Met e il dottore, che come d’abitudine ne avevano appena fatto abbondante uso. Ancora, il vino è capace di sciogliere i cuori e di mettere in connessione anche le sensibilità più lontane. È quello che accade quando il consigliere Kirita sale a bordo dell’Arcadia. Per lungo tempo nemico giurato di Harlock, Kirita è un militare, al servizio del molle e corrotto governo terrestre, e ha cercato in tutti i modi di uccidere il pirata. Fino a quando non capisce che è il fuorilegge a essere nel giusto, e che il nemico è altrove. «Bevete, Kirita – lo esorta il Capitano quando lo vede entrare nei suoi alloggi, ferito – il vino dà calore ai discorsi». Harlock gli porge un calice di vino e lo invita a raccontare la sua storia, perché “parlando si semplificano le cose”. E ancora una volta, davanti a un buon bicchiere, le parole prendono il volo, e il militare si lascia trasportare dai ricordi. E mentre racconta del suo odio per lui, è proprio il pirata a riempirgli il bicchiere, e a dirgli «bevete amico mio». Il vino aiuta l’uno a parlare, l’altro a capire, le parole disegnano una storia, il passato trova un senso, il futuro è dietro l’angolo. Le lacrime, la musica e i discorsi lasciano il passo alla guerra, a un finale che si avvicina e in cui il vino, ancora una volta, troverà un posto di primo piano. Non nello svolgersi degli eventi, ma nel portare alla luce i sentimenti che il protagonista tiene nascosti in fondo al suo cuore.

Il brindisi finale
Siamo alla vigilia della battaglia conclusiva. Harlock percorre la nave, dal ponte di comando alle cucine, dà consigli, infonde coraggio ai suoi, ha una parola per ogni membro dell’equipaggio. E non dimentica il quarantaduesimo uomo a bordo dell’Arcadia: l’Arcadia stessa. Il suo computer, il suo cuore, dove ancora vive la mente di Tochiro, il genio che ha ideato la potentissima nave, l’amico fraterno del Capitano, morto ormai da tempo ma ancora presente nei circuiti che animano il vascello. «Amico mio – dice Harlock avvicinandosi al computer – ho un piccolo progetto. Prendere una sbornia solenne io e te al termine di questa battaglia». E il Capitano, si sa, non ha mai mancato di parola: per lui le promesse sono sacre. Seguono una battaglia stellare, un abbordaggio in perfetto stile piratesco, un duello a colpi di spada, un ulteriore scontro sulla terra. Ed è proprio lo spirito di Tochiro a guidare la nave quando tutto sembra perduto. Alla fine la terra è salva, le Mazoniane si ritirano, la ciurma dell’Arcadia rimane a ricostruire il pianeta. Harlock se ne va. «Addio, pirata dello spazio». Con lui, sulla nave, la fedele Met e l’anima del suo migliore amico. La bella aliena è al timone, il Capitano riempie due calici: uno per sé e uno per Tochiro. Sorride. Appoggia uno dei due bicchieri sul computer, e solleva l’altro. «Prosit». E il calice di Tochiro si svuota, mentre la nave sembra gemere. «Siamo stati davvero bravi – sorride il Capitano – non ti pare?». Perché il vino unisce, non importa quanto distanti si sia, forse anche al di là della morte, un concetto presente in tante culture. Le ultime parole che sentiamo pronunciare da Harlock sono quelle di un brindisi, l’ultimo gesto che gli vediamo compiere è alzare un calice. Poi l’Arcadia svanisce nello spazio, mentre la bandiera nera con il teschio sventola libera. «Così Capitan Harlock, il fuorilegge, il pirata dello spazio scomparve nel cosmo in compagnia del suo migliore amico, tanti e tanti anni fa, nel 2979».

 

 

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