EsplorazioniAlla scoperta del Sagrantino

Un vitigno che attornia uno dei borghi più belli del nostro Paese il cui nome vanta origini antichissime. Mostre, degustazioni, fiere, enoteche e ristoranti, un tour enogastronomico alla scoperta di Montefalco e del suo vino di riferimento, regolamentato da un proprio disciplinare

È, anche, uno dei borghi più belli d’Italia, ma per gli appassionati Montefalco è soprattutto il centro di una zona di produzione di vini rari e oli pregiati. Ed è, insieme a Bevagna, Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, e Castel Ritaldi, tutti in provincia di Perugia, una delle tappe della “strada del Sagrantino”, un itinerario alla scoperta di un paesaggio che fa invidia alla Toscana e di un vitigno antico che solo in tempi relativamente recenti è diventato noto e apprezzato a livello internazionale. «…il luogo è bello, posto sopra un colle molto vago et di bellissima veduta, rachoglie dilicati frutti et grano et vino da vendere», scriveva Cipriano Piccolpasso nel 1565 di Montefalco, noto come “la ringhiera dell’Umbria” perché dal suo Belvedere si vede mezza regione e oltre: le valli del Clitunno, del Topino e del Tevere, Foligno, Spello, Assisi e Perugia, le cime dell’Appennino, del Subasio e dei Monti Martani.

Il borgo, che conserva le sue porte medievali, deve il nome, secondo la tradizione all’imperatore Federico II di Svevia, grande appassionato di falchi, che lì ne trovò in abbondanza, ed è circondato da un piccolo mare di oliveti che producono olio Dop dei Colli Martani, e da vigne di Sagrantino, un ceppo autoctono la cui provenienza si perde nella notte dei tempi. Secondo alcune fonti sarebbe originario dell’Asia Minore e sarebbe stato importato dai crociati di ritorno dalla Terra Santa. Da qui il nome, che altri invece attribuiscono al suo uso come vino da messa.  Ma c’è chi lo dice di origine greca importato in Italia da monaci  bizantini, mentre molti sono convinti che si tratti dell’uva Itriola menzionata già da Plinio il Vecchio nella sua “Storia naturale”, quindi presente nella zona fin dai tempi dei Romani. Di certo, i primi documenti che citano ufficialmente il vitigno risalgono al XVI secolo, anche se già nell’Anno Mille la zona era nota per le terre piantate a vigna e già nel 1925 alla Mostra Enologica dell’Umbria, Montefalco era presentato come il centro vinicolo più importante della regione.

Negli Anni ‘60 invece il Sagrantino quasi scompare ma, grazie ad alcuni appassionati viticoltori risale alla ribalta nel 1979 con il riconoscimento della Doc, seguita, nel 1992, dalla Docg.
Oggi, nelle versioni Sagrantino di Montefalco e Rosso di Montefalco, è un vino pregiato e di nicchia con un protocollo ferreo: richiede il 100 percento di uva sagrantino, deve avere almeno 13 gradi e un minimo di 33 mesi di invecchiamento, di cui almeno dodici in botti di rovere. Da sempre poco produttivo, non ha grandi estensioni: è coltivato su appena 670 ettari e conta circa 350 produttori e 89 imbottigliatori. L’uva, una delle varietà più tanniche al mondo, dà origine a vini dall’intenso colore viola/nero con un bouquet di aroma di frutti rossi, cannella e terra ed è particolarmente adatto all’invecchiamento.

Il Sagrantino nelle buone enoteche si trova, anche se non dappertutto, ma l’ideale è andare a scoprirlo nel suo territorio perché attorno al vino c’è un mondo di gusti e sapori. Grandi piatti a base di carne e selvaggina, agnello e tagliata di chianina agli odori d’orto o di tartufo nero di Norcia, oppure filetto di maiale, risotto alla montefalchese cotto nel vino e insaporito con pecorino di Norcia e guanciale croccante, gli strangozzi, la tipica pasta umbra lunga a sezione rettangolare a base di farina di grano tenero e acqua, gli gnocchi e le pappardelle, tutto ovviamente al Sagrantino. Le occasioni, durante tutto l’anno, non mancano: c’è la Mostra Mercato nella settimana di Pasqua, Cantine Aperte a maggio, a settembre la Settimana Enologica, che abbina il vino e le degustazioni alle escursioni guidate nella zona e la Festa della Vendemmia, mentre a novembre diventa protagonista  l’olio con Frantoi Aperti. Anche l’estate ha i suoi appuntamenti con la Festa di Santa Chiara, il 17 agosto e nel corso del mese altri eventi tra enogastronomia e tradizione legati alla storia del territorio: la sfida tra i quattro quartieri della città per l’assegnazione del Falco d’Oro: gare tra tamburini, sbandieratori e musici, balestrieri e spettacoli teatrali. Il tutto si conclude con la “Fuga del Bove”, una corsa dei tori al “Campo dei Giochi”.

E poi c’è l’arte che, anche se il centro è piccolo, poco più di cinquemila abitanti, è grande, grazie alla committenza dei frati francescani che ingaggiarono i maggiori artisti del Rinascimento.
Su tutti, gli affreschi davvero mozzafiato che Benozzo Gozzoli realizzò all’interno della chiesa di San Francesco, oggi un museo, dedicati alla vita del “poverello di Assisi”. E poi ci sono i ristoranti. Tutti, davvero meritevoli anche se vince, come del resto è successo in tv qualche anno fa, a “Quattro ristoranti”, L’Alchimista. Tra i suoi punti forti ci sono i menu stagionali concepiti per presentare il meglio dell’offerta del territorio in ogni periodo dell’anno e il food & wine con vini abbinati a ogni portata. La grande comunicativa del proprietario e l’ambiente caratteristico con bottiglie a vista fanno il resto.

 

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Se poi si vuole un full immersion nell’atmosfera del Montefalchese, la Tenuta Antonelli San Marco offre molte e gradevoli opzioni. Di proprietà della stessa famiglia fin dal 1881, ha 190 ettari in un corpus unico al centro della zona Docg di Montefalco e dal 2009 è totalmente biologica. Qui si organizzano visite guidate ai vigneti, alla cantina e alla bottaia che si concludono con una degustazione, che volendo può essere abbinata a un pranzo tipico umbro. Ma ci si può anche cimentare in prima persona con piatti della tradizione locale seguendo i corsi tenuti di volta in volta da chef di fama e da cuoche casalinghe in una tradizionale cucina “de Manincor” con un grande forno a legna. E scoprire così i segreti della torta al testo, un pane antichissimo che ricorda una piadina, nota come “crescia” nella zona di Gubbio, farcita con salumi misti, salsicce alla brace, verdura fresca e cicoria ripassata in padella o della rocciata, un dolce ripieno di frutta secca, uva e pinoli.

 

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Se un giorno non basta, il Casale Satriano offre sei appartamenti indipendenti con piscina e vista sulle vigne sui Colli Martani: una base per esplorare i dintorni o seguire le altre attività dell’azienda come le cacce al tartufo. Ad accogliere gli ospiti e a condurli per la proprietà c’è Filippo Antonelli, felice di illustrarne le attività, che spaziano dalla produzione di olio e confetture di Sagrantino, all’allevamento di suini allo stato brado, alla coltivazione di legumi e farro. E a raccontare le storie di famiglia. Storie davvero peculiari, dato che è nipote per parte materna di Luigi Albertini, storico direttore del Corriere della Sera e fondatore di un’altra azienda di famiglia, il Castello di Torre in Pietra, alle porte di Roma.

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