Nella guerra per procura combattuta dal regime del Cremlino nella tv e nella politica italiana contro il nemico americano, i primi a schierarsi sono stati prevedibilmente gli epigoni delle tradizioni anti-imperialiste di destra e di sinistra. Quelli per cui, durante la Seconda Guerra Mondiale, erano state le truppe alleate e non quelle naziste ad avere occupato l’Italia e quelli a cui, dopo la guerra, la costituzione della Nato era subito parsa la continuazione del nazismo con altri mezzi, che avrebbe trasformato l’Italia in una Repubblica di Vichy.
A queste truppe volontarie, sinceramente impegnate in una guerra che è, a tutti gli effetti, anche la loro, come dei loro padri e dei loro nonni, sparsi tra gli uffici del Minculpop e del Cominform, si sono poi aggiunti i miliziani di quella sorta di Gruppo Wagner dell’avvelenamento informativo e cognitivo, che Putin ha infiltrato da anni in tutte le democrazie euro-atlantiche.
Il loro capolavoro è stato raccontare la guerra della Russia all’Ucraina come un incidente programmato per il grande reset degli equilibri internazionali e avere fatto credere a milioni di italiani che russi ed ucraini sono ugualmente vittime, con uguali torti e ragioni, di un unico carnefice annidato nel deep state e nelle oligarchie politico-economiche americane. Dell’America di Biden, ovviamente, non di quella di Trump, che di quel deep state era stato avversario ed era poi caduto vittima, con il colpo di stato elettorale raccontato dagli sciamani di QAnon.
Nelle retrovie politico-mediatiche della guerra ibrida del Cremlino ora però avanza un fronte di (come chiamarli?) “atlantisti per Putin”, per cui i principi dell’ordine liberale e quelli dell’ordine putiniano non sarebbero affatto in contraddizione, né rappresenterebbero radicali alternative politiche e strategiche, se non nella logica della guerra, che va appunto destituita e disarmata, perché le sembianze del nemico possano svelare miracolosamente quelle dell’amico ritrovato.
Se intorno a Berlusconi ci fossero ancora appassionati di filosofia come Sandro Bondi, anziché troppo prosaici impacchettatori di veline e di smentite, qualcuno dei suoi collaboratori potrebbe azzardare un paragone tra la verità double face del Cavaliere e la coincidentia oppositorum di Nicola Cusano, tra il carattere apparentemente contraddittorio di una pace senza vincitori né vinti e quello apparentemente paradossale dell’infinità divina, che unisce in sé caratteri che il limitato intelletto umano non può che vedere divisi ed opposti. La pace come trascendenza della guerra e Dio come trascendenza del mondo.
Né Berlusconi, né Salvini, né quello che rimane dell’inner circle berlusconiano e della Bestia del Capitano hanno per fortuna la voglia e la verve per fare troppo alti e arrischiati paragoni, ma certamente nella coppia forza-leghista è visibile, con l’evocazione di una pace così assoluta, il tentativo di coprire un difetto di logica e di responsabilità con un eccesso di mistica e di ripudiare il bellicismo dei presunti guerrafondai con la predicazione di un pacifismo cerimonioso e imbroglione, buono solo per rompere l’isolamento del vecchio beniamino moscovita. Nel metaverso politico berlusconiano, i veri democratici non fanno la guerra a Putin, perché non è vero che Putin fa la guerra alla democrazia.
In ogni caso, l’esibizione di un atlantismo contraffatto, nel segno dell’appeasement e della complicità con Putin, pur essendo un esercizio grottesco, rimane un rischio politicamente molto serio, perché, quanto l’anti-atlantismo ideologico e quello mercenario, ha anch’esso una notevole infettività in un Paese privo di difese immunitarie verso ogni auto-proclamato vendicatore dell’inganno democratico (da Mussolini a Casaleggio), e troppo incline a considerare il liberalismo occidentale e l’ordine euro-atlantico un potere di fatto straniero, politicamente colonialistico e economicamente predatorio.
Inoltre, questo equidistantismo e equivicinismo acrobatico, che Berlusconi e Salvini affettano per non privare Mosca della loro sponda, ma anche per non allontanare mai troppo il baricentro dell’azione del campo di un possibile vincitore – chiunque esso sia – non è un carattere nuovo della politica estera italiana, che nella Prima Repubblica è riuscita agevolmente a essere, in particolare sotto la guida di Andreotti, cinica e agnostica, chiacchierona e affaristica, filoatlantica ma anche filosovietica, amica di Israele e pure complice di Arafat e del terrorismo anti-ebraico.
Se l’Italia oggi è il paese più putiniano dell’Occidente, è anche perché l’atlantismo mascherato di Berlusconi e Salvini non è poi così inedito nella storia nazionale.