L’innovazione verde? Deve essere guidata dalle città, che devono diventare nodi centrali di un nuovo progetto, centrato sulle persone. È l’obiettivo della Commissione europea, che nelle ultime settimane ha annunciato i risultati di due importanti programmi di investimento e iniziative-faro che vedono protagonisti proprio i centri urbani: stiamo parlando della nuova European Bauhaus Initiative e della Missione per “100 Climate Neutral and smart cities entro il 2030” lanciata attraverso il programma Horizon Europe.
Si tratta di iniziative complementari che vedono coinvolte 100 città europee, per una mobilitazione complessiva di circa 500 milioni di euro, destinati a crescere ulteriormente di qui ai prossimi anni.
Prima di entrare nel dettaglio, vale la pena chiedersi: perché questo investimento politico e finanziario sulle città?
Nonostante la percentuale di suolo occupato da superfici artificiali – prevalentemente aree urbanizzate – corrisponda a circa il 5% del territorio totale europeo, nelle città risiede oggi in Europa il 75% della popolazione, più di 300 milioni di persone che producono circa l’85% del Pil, contribuendo allo stesso tempo all’80% del consumo totale di energia e alla generazione del 70% di emissioni di CO2.
In sostanza, occuparsi delle città significa oggi occuparsi del futuro della società nel suo complesso, se si considera che, secondo uno studio del 2018 pubblicato dalla European Investment Bank, nel 2080 nelle città risiederà circa il 90% della popolazione europea.
Città smart e climaticamente neutrali entro il 2030: dai sogni agli impegni
Sono nove le città italiane selezionate dalla Commissione europea per raggiungere la neutralità climatica entro il 2030 e diventare hub di innovazione e sperimentazione. Stiamo parlando di Milano, Torino, Firenze, Roma, Genova, Bologna, Padova, Bergamo e Prato.
Le 112 città (di cui 12 non Europee) selezionate ospitano complessivamente circa 75 milioni di persone e avranno il compito di concretizzare di un impegno molto importante: lo sviluppo di un Contratto climatico di città – Climate City Contract –, un documento strategico di pianificazione da strutturare insieme ai cittadini e agli stakeholders che definisca un piano d’azione e il relativo piano di investimento per de-carbonizzare e rendere climaticamente neutrale la città entro sette anni attraverso la realizzazione di progetti pilota e investimenti in diversi settori, dall’energia all’edilizia, dalla gestione dei rifiuti ai trasporti.
Sebbene il Climate City Contract non costituirà un documento formalmente vincolante, vale la pena osservare come in esso si rifletta un’evoluzione interessante delle stesse politiche dell’Unione europea nel senso di superare la logica dei processi di innovazione trainati esclusivamente dall’industria, con le città come “semplici” campi di sperimentazione, per avvicinarsi a un processo di innovazione guidato dalla città e dai suoi cittadini.
Si tratta di un passaggio fondamentale, considerando come la transizione verso la neutralità climatica non sarà così “neutrale” in termini sociali: produrrà almeno nel breve periodo effetti collaterali ed esternalità negative, con la scomparsa di alcuni lavori tradizionali, la riconversione di intere filiere produttive o variazioni di geografica economica. Impatti che dovranno essere previsti e mitigati.
Perché il processo possa essere gestito e non subìto appare dunque fondamentale una governance basata sull’informazione e sulla partecipazione dei cittadini e dei vari attori locali. In questo senso, la “scienza”, i programmi di ricerca e innovazione promossi a livello europeo ed in particolare il ramo delle tecnologie geo-spaziali potranno essere di grande aiuto: dal programma europeo Copernicus, che con i suoi satelliti sentinella genera una mole preziosa di dati per l’osservazione e il monitoraggio della Terra, alla nuova missione europea “Digital Destination Earth” che ha l’obiettivo di creare un “gemello digitale” della Terra e delle nostre città, fondamentale per pianificare e simulare l’impatto sull’ambiente e sul clima di differenti decisioni e applicazioni di soluzioni tecnologiche.
Le città faro del New European Bauhaus
In maniera complementare, qualche settimana fa, sono stati resi noti anche i nomi dei primi cinque progetti dimostrativi del nuovo European Bauhaus insieme a un progetto di coordinamento e supporto.
Da quanto si apprende, in almeno due progetti sono rappresentate anche realtà italiane. È il caso di Bologna – partner del progetto di coordinamento e supporto Craft (CReating Actionable FuTures) che la vedrà in rete insieme alle città di Amsterdam e di Praga – e di Torino, nel progetto Desire (Designing the Irresistible Circular Society) che partendo dai temi dell’inclusività, della circolarità e della riconciliazione delle città con la natura, combinerà arte, architettura e design per l’esplorazione di modi alternativi per la trasformazione degli spazi urbani. Per raggiungere questi obiettivi, a ogni progetto è assegnato un finanziamento di circa 25 milioni di euro.
Il nuovo European Bauhaus è un’iniziativa fortemente voluta dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: il progetto richiama il movimento artistico-culturale sviluppatosi in Germania durante la Repubblica di Weimar con l’obiettivo di lanciare una riflessione che metta insieme competenze diverse per ripensare le città e la gestione degli spazi nel mondo post Covid-19. Un esercizio creativo per rispondere ai bisogni dell’uomo (antropos) attraverso soluzioni diverse.
Nelle prossime settimane, saremo in grado di scoprire più nel dettaglio come le città si muoveranno per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, quali strumenti metteranno in campo e su quali temi sceglieranno di focalizzarsi.
Un auspicio e un monito possono tuttavia essere formulati già da ora. Attraverso queste due iniziative, le città rafforzano un legame sempre più diretto con l’Europa grazie a un’interlocuzione diretta con la Commissione europea: in questo senso l’auspicio è che questo processo possa contribuire in una certa misura anche ad “europeizzare” le politiche urbane, consolidando un processo già avviato in molti Comuni italiani ed europei grazie ai programmi europei per lo sviluppo urbano come Urbact e Uia-Urban Innovative Action, offrendo ai propri abitanti città più moderne e più connesse nel circuito europeo.
Insieme a una prospettiva incoraggiante, si è tuttavia costretti a constatare la permanenza di alcune preoccupanti fratture: la prima è quella tra il Centro Nord e il Sud del Paese.
Non può non balzare agli occhi come tra le città selezionate dalla Commissione non si trovano Comuni a sud di Firenze, esclusa la Capitale, e che i Comuni prescelti sono quelli con un Pil pro-capite mediamente tra i più elevati del Paese.
Allo stesso tempo, per avere un’Europa più verde, più produttiva, ma anche più equa, l’attenzione alle città più popolate dovrà evitare di ampliare quella frattura urbano-rurale che sappiamo essere all’origine di un senso di emarginazione e frustrazione, spesso tramutata in rabbia, diffuse nelle aree rurali e periferiche dell’Italia e del resto d’Europa.
Se le città potranno avere un ruolo straordinario nel contribuire alla crescita e a un futuro più sostenibile, resta tuttavia prioritario che questo processo diventi una vera leva a servizio anche delle altre realtà.