Il dado è tratto: il Parlamento europeo attiverà la procedura per la modifica dei trattati dell’Ue. È per ora il risultato più concreto della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che nella sua ultima sessione plenaria ha approvato la relazione finale: contiene 49 proposte articolate in 325 misure, alcune delle quali necessitano di modifiche strutturali alle regole comunitarie per essere adottate.
Cambiare o sparire
Ad annunciare il passo radicale è stato il co-presidente della Conferenza Guy Verhofstadt con un intervento teatrale nell’emiciclo, voltando le spalle alla commissaria Dubravka Šuica, che in quel momento dirigeva i lavori, e rivolgendosi ai cittadini presenti.
«Mentre le altre istituzioni leggono, studiano e analizzano le conclusioni di questa Conferenza, il Parlamento prenderà una decisione fondamentale: lancerà la revisione dei trattati», ha esclamato, accolto dagli applausi dell’aula.
L’Eurocamera, afferma il suo rappresentante, non vuole che la relazione finale della Conferenza sul Futuro dell’Europa sia «un bel foglio di carta» conservato insieme a tanti altri, come accaduto in passato per altre iniziative. «Faremo tutto il possibile perché ciò non accada», ha spiegato Verhofstadt con piglio combattivo.
A suo giudizio, sono necessarie riforme radicali per la sopravvivenza stessa dell’Unione. «Il mondo di domani è un mondo di imperi e di pericoli, come abbiamo visto con l’invasione dell’Ucraina. Dobbiamo difenderci e organizzarci. Altrimenti l’Ue scomparirà e l’Europa sarà dominata da autocrati invece che dalla democrazia liberale».
In concreto, il Parlamento ha facoltà di attivare la procedura prevista dall’Articolo 48 del Trattato sull’Unione europea proponendo determinate modifiche ai trattati, cosa che conta di fare già questa settimana: la discussione sul tema è in calendario per martedì 3 maggio e il supporto della maggioranza dell’aula praticamente certo.
Poi toccherà al Consiglio europeo convocare una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento stesso e della Commissione. La convocazione deve essere approvata a maggioranza semplice: bastano cioè più Paesi favorevoli a esaminare le modifiche proposte di quelli contrari a farlo.
Ci saranno Stati riluttanti a procedere: sicuramente Polonia e Ungheria, molto probabilmente olandesi e scandinavi. Ma le aperture non mancano. «Non dobbiamo avere paura. Facciamo di tutto, anche cambiando i trattati, per rendere l’Europa all’altezza delle necessità del momento storico», ha detto in plenaria il sottosegretario italiano agli Affari europei Enzo Amendola. Una posizione netta, che sarà presto ribadita dal Presidente del Consiglio Mario Draghi e che prende le mosse da una mozione sul tema presentata dai senatori Alessandro Alfieri (Partito democratico) e Paola Taverna (Movimento Cinque Stelle).
Questo endorsement si aggiunge alla spinta riformatrice che sembra filtrare dalla presidenza francese e al chiaro proposito del governo tedesco di rivedere i trattati, esplicitato nell’accordo tra i partiti che formano la coalizione dell’esecutivo di Berlino. L’obiettivo di ottenere un sì da almeno la metà delle capitali non sembra irraggiungibile.
Le idee per migliorare l’Europa
La modifica dei trattati è necessaria per adempiere ad alcune delle 49 proposte della relazione finale, frutto della sintesi fra le 178 raccomandazioni approvate nei quattro Citizens’ Panel europei e quelle provenienti dai Panel nazionali, discusse ed elaborate nei nove gruppi di lavoro tematici.
Ad esempio, si propone alle istituzioni dell’Unione europea di abolire il diritto di veto degli Stati membri: tutte le decisioni che oggi si possono prendere solo all’unanimità dovrebbero essere validate da un voto a maggioranza qualificata, tranne l’autorizzazione all’ingresso di nuovi Paesi nell’Ue e le modifiche ai principi fondamentali. Una richiesta difficile da esaudire altrimenti, come pure quella di concepire referendum europei «in casi eccezionali».
La gran parte delle proposte avanzate, tuttavia, potrebbe essere realizzata già tramite legislazione ordinaria, comunitaria o nazionale. Secondo un’analisi sommaria realizzata dal centro studi Villa Vigoni prima dell’ultima plenaria, solo un decimo delle raccomandazioni dei cittadini comporta necessariamente un cambio del testo basilare dell’Ue.
È sufficiente infatti emendare la legge elettorale europea per armonizzare le condizioni di voto nei vari Stati e introdurre liste transnazionali o modificare il Sistema di Dublino per «garantire la redistribuzione dei migranti tra gli Stati membri», come recita una delle richieste avanzate.
Tra le altre idee ci sono l’introduzione di pensione e salario minimo a livello europeo, la restrizione alle importazioni di merci da Paesi che sfruttano il lavoro minorile, l’adozione di un ecoscore che valuti l’impatto ambientale dei prodotti, la costruzione di una rete ferroviaria paneuropea ad alta velocità.
Vaga ma comunque significativa è la richiesta di «forze armate congiunte» europee, impiegate a fini di autodifesa e dislocabili fuori dai confini dell’Ue «in circostanze eccezionali». Si tratta di una proposta che, al pari di altre, è già «in lavorazione»: la Bussola strategica approvata dai 27 lo scorso marzo punta proprio a rafforzare sicurezza e peso geopolitico dell’Unione.
Anche nel campo della cooperazione sanitaria, delle energie rinnovabili, e della produzione agricola sostenibile le istituzioni comunitarie erano già all’opera sugli obiettivi delineati nella Conferenza.
Il giallo dell’approvazione senza consenso
Fedele all’approccio learning-by-doing che ha contraddistinto tutto l’esercizio democratico, anche l’ultima sessione plenaria della Conferenza sul Futuro dell’Europa ha riservato una buona dose di improvvisazione e confusione tra gli addetti ai lavori.
Per l’approvazione della relazione finale era richiesto espressamente dalle regole procedurali il consenso delle quattro componenti politiche della plenaria: commissari, europarlamentari, deputati nazionali, membri dei governi nazionali.
Cristallino quello della Commissione, enunciato dalla vice-presidente Dubravka Šuica, con annessa disponibilità a modificare i trattati qualora lo vogliano le altre istituzioni.
Chiaro pure quello del Parlamento europeo, anche se ovviamente non unanime. Fra i 108 eurodeputati, si sono espressi a favore i quattro gruppi principali: Partito popolare europeo, Socialisti e democratici, Renew Europe e Verdi/Ale, più la Sinistra.
Contrari alle conclusioni raggiunte le due famiglie di estrema destra: Identità e democrazia e Conservatori e riformisti europei, i quali hanno persino annunciato il boicottaggio dell’evento finale. Non si è svolta nessuna votazione interna alla componente, ma il co-presidente Guy Verhofstadt ha constatato il supporto della maggioranza dei colleghi dopo averne ascoltato gli interventi.
Molto più problematica l’approvazione concessa dalle delegazioni di Consiglio e parlamenti nazionali. La prima ha evitato di pronunciarsi sul contenuto delle proposte, come ha ammesso il suo rappresentante, il co-presidente della Conferenza Clément Beaune. Il via libera è stato descritto come una presa d’atto dei desideri dei cittadini: l’analisi nel merito verrà effettuata soltanto dopo la fine dell’intero processo.
Una dinamica analoga si è verificata fra i 108 parlamentari nazionali, di provenienza e colore politico differenti. Impossibile metterli tutti d’accordo, in particolare su due temi: le regole della democrazia europea e il ruolo dell’Ue nel mondo, come spiega a Linkiesta il senatore Alessandro Alfieri. Fra i punti critici la questione delle liste transnazionali e l’abolizione del diritto di veto, inaccettabili per i deputati dei partiti di governo in Polonia e Ungheria, a cui davano manforte i colleghi olandesi.
La soluzione escogitata è una dichiarazione comune che approva soltanto il fatto di «inoltrare le proposte al board della Conferenza»: un’acrobazia verbale al limite del paradosso per autorizzare la relazione finale senza avallarne i contenuti.
«È una sorta di consenso soft, negoziato dai rappresentanti della componente per non scontentare nessuno», puntualizza Alfieri. Alcuni deputati ungheresi ribadiscono a Linkiesta di essersi opposti alla ratifica di alcuni punti della relazione finale durante le riunioni della delegazione. In sostanza, spiegano, si è trovato un modo ingegnoso per non «bloccare il processo» mantenendo al tempo stesso il testo intatto.
Il risultato, comunque, è stato faticosamente ottenuto e il documento conclusivo verrà consegnato il 9 maggio nelle mani dei vertici comunitari: Roberta Metsola del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen per la Commissione ed Emmanuel Macron che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.
La cerimonia prevista è breve ma intesa, meno di due ore al Parlamento di Strasburgo, nel pomeriggio della Festa dell’Europa. Parleranno i co-presidenti della Conferenza, quelli delle istituzioni comunitarie e alcuni dei cittadini. Sarà la fine di un lungo esperimento di democrazia partecipativa e, forse, l’inizio di un nuovo capitolo per l’Europa.