La risposta dell’Unione europea alle minacce presenti e future è, per ora, tutta in un documento di una quarantina di pagine, da aggiornare di frequente. La «Bussola strategica», approvata dai ministri degli Esteri e della Difesa riuniti a Bruxelles, delinea il piano per la difesa comune dei 27 Stati Ue nei prossimi dieci anni ed è un punto di svolta nella politica di sicurezza comune, secondo l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri Josep Borrell.
La strategia che sarà validata dai leader nazionali nel prossimo Consiglio europeo, «non è la risposta all’invasione russa dell’Ucraina, ma è una parte della risposta», ha sottolineato Borrell, chiarendo come il documento risponda a una visione a lungo termine piuttosto che emergenziale. Sul fronte più caldo del momento, i ministri hanno invece raggiunto un accordo politico significativo: l’invio di altri 500 milioni di euro di aiuti militari al governo ucraino con una seconda tranche dell’European Peace Facility, lo strumento con cui l’Ue ha già garantito mezzo miliardo a Kiev.
Il conflitto in corso, comunque, ha influenzato pure la discussione e la redazione del documento strategico, confermando probabilmente l’urgenza di una condotta comune in materia. Rispetto all’ultima bozza, il linguaggio utilizzato è molto più duro nei confronti della Russia, su pressione della Polonia e dei Paesi baltici, scrive il quotidiano Politico. Sicuramente, nel testo non mancano i riferimenti alla guerra in atto e alle minacce presentate dalla Russia alla sicurezza europea.
Precedenti poco incoraggianti
Tra gli elementi più significativi della strategia comunitaria c’è la European Union Rapid Deployment Capacity, una forza armata di 5mila uomini da utilizzare nei teatri di crisi. Non è la prima volta che l’Unione europea prova a istituire un’entità militare comune, ma i precedenti tentativi non sono stati troppo convincenti. Già nel 1999 a Helsinki, i Capi di Stato e di governo degli allora 15 Paesi concordarono la possibilità di effettuare operazioni a livello comunitario: entro il 2003 ogni Stato membro doveva essere in grado di allestire entro 60 giorni un contingente da 50-60mila uomini, pronti ad effettuare per un anno missioni in luoghi di crisi.
Dopo l’operazione Artemis in Congo nel 2003, considerata dalle istituzioni comunitarie il primo episodio di pacekeeping da parte dell’Ue nel suo complesso, la politica europea di difesa e sicurezza ha poi virato sui «battlegroups»: squadroni composti da 1500 militari rapidamente dislocabili in circostanze critiche a partire dal 2007.
Questi contingenti, composti da personale di diversi Paesi, dovrebbero attivarsi su decisione del Consiglio, per rispondere a tutte le necessità previste dal Trattato sull’Unione europea: azioni di disarmo, missioni umanitarie, di assistenza militare, prevenzione dei conflitti, lotta al terrorismo e pure «gestione delle crisi». Le situazioni di questo tipo, negli ultimi 15 anni non sono mancate, ma i battlegroups non sono mai stati impiegati: ogni loro operazione necessita infatti l’approvazione all’unanimità degli Stati membri, condizione evidentemente molto difficile da raggiungere.
La milizia da 5mila uomini prevista nella Bussola strategica segue le stesse regole: non un esercito europeo, ma una «forza parallela» alle truppe nazionali, che segue una catena di comando a livello comunitario.
Secondo Borrell, però, il piano d’azione decennale renderà l’Ue più forte militarmente e capace di agire in maniera coordinata. Anche perché si tratta di una strategia da aggiornare di frequente e perché rappresenta l’inizio di una politica di difesa e sicurezza più incisiva, che comunque dovrà progredire nel tempo per risultare davvero efficace.
Non solo soldati
Una fetta consistente della partita militare europea si gioca nelle retrovie piuttosto che sui campi di battaglia. La vera novità potrebbe quindi essere rappresentata dalla convergenza della produzione militare industriale dei vari Stati, che oggi viaggia su binari differenti. Bisogna spendere di più e spendere meglio, colmando le lacune, ed evitando «inutili duplicati» nella spesa militare. Che in Europa non è affatto bassa, ha spiegato l’Alto rappresentante: nel complesso i Paesi membri investono quattro volte la cifra stanziata dalla Russia e circa la stessa della Cina, senza ottenere, in termini di armamenti e tecnologie correlate, i risultati di nessuna delle due.
Con la Bussola strategica, gli Stati europei si impegnano a fissare limiti comuni di spesa (come già succede per i Paesi membri della Nato) e a collaborare per lo sviluppo di tecnologie militari, promuovendo la ricerca scientifica nel settore.
Questa maggiore integrazione non andrà a detrimento dell’impegno nella Nato, che con l’Ue condivide 21 membri, ma sarà complementare all’azione dell’Alleanza atlantica, il perno della difesa territoriale per chi vi aderisce. Come si legge nel documento, anzi, l’Ue dovrà rafforzare la cooperazione con le organizzazioni internazionali, tra cui l’Onu, l’Osce e l’associazione degli Stati del sud-est asiatico.
In più, c’è la necessità di prevenire e scoraggiare i cosiddetti «attacchi ibridi», cioè tutte quelle minacce alla sicurezza europea non costituite da forze militari tradizionali quanto da modalità «alternative» di destabilizzazione: incursioni cibernetiche, interferenze straniere, campagne di disinformazione, utilizzo di persone migranti in transito come arma di pressione sui confini. Sono questi i campi di battaglia del futuro secondo Borrell, con le potenze mondiali interessate a «conquistare le menti», piuttosto che i territori.
Tutte circostanze già verificatesi nella storia recente e spesso provenienti dalla stessa direzione. Per far fronte alla minaccia russa in futuro potrebbe essere molto utile una politica difensiva europea rafforzata, ma per provare a fermare la guerra nell’immediato servono azioni risolute: a questo proposito i ministri della Difesa hanno ascoltato gli aggiornamenti dal collega ucraino Oleksii Reznikov; quelli degli Esteri hanno discusso un nuovo pacchetto di sanzioni, compreso lo stop alle importazioni di gas e petrolio.
Ma tutte le decisioni sono rimandate al Consiglio europeo, dove i Capi di Stato e di governo dell’Ue incontreranno anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. E l’ostacolo a una strategia comune sarà sempre lo stesso: ogni passo della politica estera europea richiede sempre l’assenso di tutti i suoi membri.