Giuseppe Conte ieri si è presentato alla Stampa estera come il leader che lavora di più per rafforzare Draghi. Una contorsione che nasconde la debolezza di fondo di un Movimento che sta tentando disperatamente di recuperare consenso in un’opinione pubblica preoccupata e impaurita dalle conseguenze economiche della guerra scatenata da Putin. Ma si sta avvicinando il momento della verità e non solo per quanto riguarda il leale sostegno al governo. Si capirà presto se i 5 Stelle potranno far parte di un’alleanza con il Partito democratico, se saranno protagonisti del campo largo di cui ancora parla Enrico Letta, sempre meno convinto, al di là delle dichiarazioni ufficiali, di avere accanto Conte nella battaglia elettorale del 2023. Oggi sopra ogni cosa la discriminante è da quale parte si sta.
Se la guerra dovesse continuare, se il percorso verso la trattativa e la pace (quello indicato dal presidente del Consiglio italiano a Washington) dovesse fallire, non ci sarebbe spazio per i distinguo del tipo “armi sì ma non troppe, armi difensive ma non offensive”. Carri armati contro quelli con la Z? Non sia mai che i russi siano costretti a indietreggiare, a non divorare tutto il Donbass e tutta la fascia sud dell’Ucraina fino a Odessa, chiudendo i porti e impedendo alle navi cariche di prodotti agroalimentari di partire.
Ma il tempo di mettere fine al bluff sta arrivando. Lunedì approda in Parlamento il terzo decreto per l’invio di armi all’esercito ucraino. Un decreto interministeriale firmato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, odiato dai grillini e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, diventato diversamente grillino e tra i più convinti filo-atlantisti. Ieri il responsabile della Farnesina ha partecipato al G7 con i suoi colleghi, che stanno mandando ogni tipo di armi ai resistenti ucraini. Per Conte però questo terzo decreto dovrà essere l’ultimo. Dice che «abbiamo già dato un contributo sufficiente, c’è una sufficiente concentrazione di armamenti in Ucraina». È il solito preultimatum senza conseguenze?
Poi giovedì Draghi sarà in aula per un’informativa sull’incontro con il presidente americano Joe Biden, più in generale sul conflitto e la questione energetica. L’informativa al Parlamento non prevede la presentazione e il voto su una risoluzione, ma Conte vorrebbe discutere di un nuovo mandato politico. Per l’ex presidente del Consiglio questo governo è nato per far fronte alla pandemia, non a una guerra. C’è da scommettere che una risoluzione non verrà presentata: significherebbe sconfessare il governo e quello che tutti i partiti hanno votato a inizio marzo (l’invio di armi fino al 31dicembre). Non verrà presentata anche per un altro motivo: Conte gialloverde non ha trovato la sponda in Salvini, l’altro pacifista a parole.
Prima di giovedì prossimo, prima dell’informativa in aula, a Palazzo Chigi ci sarà un incontro di grande significato. Lunedì varcherà il portone là premier finlandese Sanna Marin, che in queste ore ha chiesto l’adesione alla Nato del suo Paese, tradizionalmente neutrale. Draghi darà il sostegno dell’Italia alla richiesta di protezione atlantica che viene anche dalla Svezia. Mosca minaccia ancora l’atomica, vede gli effetti della sua mossa avventata in Ucraina, si accorge di avere rianimato e allargato una Nato che lo stesso presidente Emmanuel Macron aveva diagnosticato cerebralmente morta. E invece ora si trova una nuova cortina di ferro che dal Baltico arriva al Mar Nero. «Ve lo siete cercato, guardatevi allo specchio», ha risposto il presidente finlandese Sauli Ninisto.
Ecco, per aprire la Nato a Finlandia e Svezia è necessario il voto unanime dei Paesi aderenti. È necessario il voto dei Parlamenti che potrebbe arrivare presto. Voto obbligatorio, perché si tratta di modificare un trattato internazionale. Nessuno potrà dire sì, forse, ma… Non c’è ancora una data, ma molto probabilmente entro la fine dell’anno. Comunque sempre più vicina alle fatidiche elezioni italiane. Bisognerà vedere come voteranno Lega e Movimento 5 stelle. Se il pacifismo peloso arriverà a considerare una provocazione l’allargamento della Nato proprio ai confini della Russia.
Conte ha cominciato a dire che «ci possono essere delle implicazioni», ma ha aggiunto di capire l’interesse vitale della Finlandia: «La richiesta va valutata con attenzione». Su questo punto il leader Cinquestelle sembra prudente. Meno lo è la Lega, se perfino Giancarlo Giorgetti afferma che l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato non aiuta ad abbreviare il conflitto: «Credo che questo surriscaldi gli animi dalle parti di Mosca».
Purtroppo siamo in un contesto, causato da Putin, nel quale le alleanze politiche saranno scritte dalle scelte che si faranno in questi giorni e nei prossimi mesi. Sul sostegno in armamenti all’Ucraina, sul voto per far entrare altri Paesi nella Nato. Come notano alcuni osservatori, siamo in una situazione simile al 1948, quando si era costretti a stare da una parte o dall’altra, quando calò sull’Europa quella prima cortina di ferro di cui parlava Churchill e voluta da Stalin. Nuovi e vecchi dittatori, che costringono anche la politica nostrana, i nostri partiti, a pensare con chi allearsi e con chi governare. Il Partito democratico sicuramente non potrà farlo con chi pensa di stare tartufescamente in mezzo o, peggio, prendere in considerazione le ragioni di Mosca.
Letta se ne dovrà fare una ragione. Ma con l’attuale legge elettorale che ti costringe a stringerti a qualcun altro, farsene una ragione sarà molto difficile.