Eco gender gapAnche nel rispetto dell’ambiente c’è un divario tra donne e uomini?

Prediligere comportamenti responsabili nei confronti del pianeta sarebbe una prerogativa femminile. Una peculiarità che, chiaramente, non è estendibile a tutta la categoria, ma che in una società guidata da ricerche di mercato e modelli di riferimento ha la sua rilevanza. Anche in termini pubblicitari

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Negli anni della grande epifania sul climate change e sulla consapevolezza di quanto i nostri comportamenti siano in grado di incidere sulla salute del pianeta, siamo costantemente alla ricerca di modelli da seguire, statistiche in grado di fornire indicazioni sul futuro e, in generale, di strumenti che ci aiutino ad essere cittadini e consumatori più green. E le donne, stando ad alcuni studi scientifici, in questo sarebbero più avanti degli uomini in termini sia di consapevolezza, sia di scelte di consumo. Questo fenomeno è detto “eco gender gap”. 

L’eco gender gap e il marketing
Mintel è una società di ricerche di mercato che tiene monitorato in particolare l’aspetto della sostenibilità legato ai consumi, pubblicando annualmente un Sustainability barometer: un’analisi dei dati provenienti dalle abitudini di consumo funzionale alle aziende per sviluppare prodotti e politiche di sostenibilità redditizie. Secondo una di queste analisi, condotta nel 2018, le donne cercano di vivere in maniera più etica rispetto agli uomini: il 71% contro il 59%. 

Ancora: il 65% delle donne non si limiterebbe ad adottare buone pratiche individuali e comportamenti rispettosi nei confronti dell’ambiente, ma spingerebbe anche gli altri a farlo, mentre la percentuale degli uomini dediti al “proselitismo” si ferma al 59%. Questi numeri sono indicativi perché, essendo frutto di una ricerca market driven, provengono direttamente dall’osservazione delle abitudini di consumo. D’altra parte questo non fa che alimentare un circolo vizioso: se le donne sono più propense a fare acquisti sostenibili, saranno anche il target privilegiato del green marketing.

Gli aspetti sociali dietro l’eco gender gap 
Così funziona il mercato. Ma non solo: ci sono delle ragioni sociali se sono le donne ad essere le più “bombardate” dai messaggi di green marketing. Molti dei settori merceologici in cui si concentra la maggior parte delle possibili scelte ecologiche riguardano la cura della famiglia e della casa, compito che oggi – anche se siamo nel 2022 – compete ancora nella maggioranza dei casi alle donne. 

Pensiamo solo all’alimentazione, terreno di discussione primario quando si parla di scelte eco-compatibili, ma anche al tessile: al netto del guardaroba (che vale per entrambi i generi), molti acquisti in questo settore riguardano la gestione dei figli e della casa. C’è anche chi ipotizza una forte correlazione tra movimenti femministi e ambientalisti, e certamente ci sono posti nel mondo dove la qualità della vita – e in alcuni casi la sopravvivenza stessa delle donne – è minacciata dal cambiamento climatico. Tuttavia, la maggior parte delle ragioni dietro a questo gap, reale o percepito che sia, sono in primo luogo culturali.

In una ricerca dello scorso luglio dal titolo Shifting expenditure on food, holidays, and furnishing could lower greenhouse gas emission by almost 40%, pubblicata sul Journal of industrial ecology, si evidenzia infatti come le spese degli uomini provochino il 16% in più di emissioni di gas serra. I dati presi in esame riguardano le emissioni derivanti dalle abitudini quotidiane di una persona adulta, e il loro scopo è quello di fornire un’indicazione su quali comportamenti bisognerebbe modificare per arrivare a tagliare le emissioni del 40%. 

Prediligere i mezzi pubblici o la bici alla propria auto, sostituire la carne con i legumi, comprare frutta e verdura di stagione sono tutte scelte che hanno l’effetto di ridurre le emissioni in questo senso e, sempre stando alla ricerca, sarebbero le donne quelle più propense ad adottarle. La differenza decisiva riguarda i modelli di spesa: gli uomini spenderebbero infatti solo il 2% in più rispetto alle donne, emettendo però il 16% in più di gas serra inquinanti. 

Questo perché nel ventaglio di acquisti delle donne figurano prodotti a basse emissioni, come l’assistenza sanitaria o l’alimentare, mentre in quello maschile due voci su tutte fanno schizzare la quota di emissioni: il carburante e il consumo di carne. Questi risultati sono in linea con le ricerche precedenti sulle differenze di genere nell’uso dell’energia (Räty & Carlsson Kanyama, 2010) e sarebbero coerenti nella maggior parte dei Paesi.

Alimentazioni differenti 
Certamente non si può generalizzare, ma le evidenze scientifiche ci sono: gli uomini, mediamente, mangiano più carne delle donne. In uno studio pubblicato su Appetite nel 2021 dal titolo Gender differences in meat consumption and openness to vegetarianism si evidenzia come, rispetto alle donne, gli uomini consumino più carne e siano meno inclini ad adottare un regime alimentare plant-based

Lo studio, in particolare, si è concentrato sul valore della conformità del ruolo di genere tradizionale in rapporto alla frequenza del consumo di carne e alla disponibilità di diventare vegetariani. Tra gli uomini, una maggiore conformità ai ruoli di genere tradizionali comporta un consumo più frequente di manzo e pollo e una minore apertura al vegetarianismo. 

Tra le donne, invece, si verifica l’apertura ad adottare una dieta a base vegetale per motivi di salute. In parole povere: le persone di sesso maschile – specialmente quelle che si riconoscono nello stereotipo di genere del maschio predatore alle prese con il barbecue – saranno meno propense a scegliere di alimentarsi a suon di seitan e verdure, contribuendo così ad alimentare l’eco gender gap. Sia in maniera fattuale, sia alimentando il bias cognitivo per cui gli uomini sarebbero sordi alle tematiche ambientali. Una peculiarità che, chiaramente, non è estendibile a tutta la categoria, ma che in una società guidata da ricerche di mercato e modelli di riferimento ha la sua rilevanza in termini di advertising.

Vietato generalizzare
L’assunto per cui gli uomini siano meno incentivati ad adottare comportamenti eco-compatibili può essere vera per alcuni ma non per tutti, come esisteranno molte donne per cui il destino del pianeta non è affar loro. La nostra è una società piena di stereotipi di genere ma, quando si parla di lotta al cambiamento climatico, l’auspicio dovrebbe essere quello di formare un fronte compatto.

Sicuramente, al netto delle differenze tra uomini e donne, c’è una generazione che più delle altre sta guidando il cambiamento in questo senso: stiamo parlando di coloro che appartengono alla Gen Z, ossia i nati tra il 2000 e il 2010 che, oltre ad essere quelli che più di tutti stanno abbattendo le logiche di genere, sono anche i più responsabili dal punto di vista delle scelte ambientali.

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