Oggi possiamo guardare alla simulazione computazionale come a un nuovo modo di interrogare e instrumentare il mondo. La simulazione non è semplicemente teoria applicata e non è neanche solo un nuovo tipo di esperimento. Si situa in una terra di mezzo. È al contempo una nuova forma mentis e un nuovo modus operandi.
Il metodo computazionale simulativo, teoretico e strumentale è insieme – dicono i filosofi della scienza – uno «stile di ragionamento» della modellizzazione matematica che privilegia due peculiari dimensioni cognitivo-operative: l’iterazione e l’esplorazione. È quindi una pratica epistemica che affronta la complessità del mondo con nuove strumentalità e nuove metodiche.
Detto in maniera piana e breve, la sua caratteristica generale è la capacità di accorciare la distanza tra modello e mondo. La matematica allontana modello e mondo, la simulazione li avvicina. Infatti, se la modellazione matematica tradizionale marca questa distanza con idealizzazione, semplicità e trasparenza, la simulazione computazionale invece collassa questa distanza privilegiando plasticità, iteratività ed esploratività – come argomenta il filosofo della simulazione computazionale Johannes Lenhard.
Dimensioni cognitive queste ultime che sembrerebbero, dunque, essere in grado di fronteggiare meglio la complessità del mondo, anche a costo di dover rinunciare ad alcune delle virtuosità tipiche della modellazione matematica più classica. E con la complessità anche l’emergenza. «Le simulazioni sono in parte responsabili del ripristino della legittimità del concetto di emergenza perché possono mettere in scena interazioni tra entità virtuali dalle quali emergono effettivamente proprietà, tendenze e capacità. Poiché questa emergenza è riproducibile in molti computer, può essere sondata e studiata da diversi scienziati come se fosse un fenomeno di laboratorio. In altre parole, le simulazioni possono svolgere il ruolo di esperimenti di laboratorio nello studio dell’emergenza, completando il ruolo della matematica nel decifrare la struttura degli spazi delle possibilità»
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Gli oggetti del mondo saranno sempre più macchine, le macchine avranno i loro doppi digitali, i gemelli digitali produrranno simulazioni, queste simulazioni disegneranno nuovi oggetti-macchine in un circuito continuo e performativo. La simulazione, dunque, si fa ontologicamente reale evocando plasticamente all’esistenza il mondo.
Scavare filosoficamente dentro questa nuova condizione non è tuttavia semplice in ragione di una condizione che diviene sempre più evidente. Più la macchina simulatrice è in grado di approssimare al meglio il mondo e diventa autonoma e costruttrice di mondi, meno si riescono a comprendere i suoi processi e risultati. E il suo senso.
Da un lato il «collasso della distanza» tra macchina (modello) e mondo (realtà) lascerebbe immaginare una nostra capacità di conoscere meglio eventi, processi e fenomeni anche estremamente complessi. Essendo noi i costruttori di questa macchina simulativa dovremmo conoscerla meglio di chiunque altro. Invece, dall’altro lato, interazioni, esplorazioni, calibrazioni, adattamenti, plasticità, autarchia delle simulazioni gettano sull’operazione simulativa un velo di offuscamento.
La simulazione computazionale si nasconde al suo creatore divenendo, da ultimo, invisibile allo sguardo. Così si produce emergenza in un duplice senso: di novità e sorpresa, ma anche di vulnerabilità e crisi.
Da “Il mondo in sintesi – Cinque brevi lezioni di filosofia della simulazione” di Cosimo Accoto, Egea, 192 pagine, 19 euro