Lo zaino dei ricordiSono ucraina e le parole di Conte e di Salvini mi feriscono personalmente

Armare Kiev, ma non troppo: per i due politici è tattica elettorale, per me è l’unica speranza di resistere, di salvare il mio Paese, di rivedere amici, parenti, persone care e mantenere vivo un bagaglio di memoria che può sparire da un giorno all’altro sotto le bombe

Viktor Bystrov, da Unsplash

Tutte le parole “sull’armare, ma non troppo” l’Ucraina dette da Giuseppe Conte e Matteo Salvini io le prendo sul personale. Per loro sono solo strategia di campagna elettorale, un dispetto da fare al governo, dichiarazioni con cui fare notizia; per me, invece, sono le facce dei miei genitori vissuti per più di un mese sotto l’occupazione russa, le facce dei miei amici arruolati nell’esercito o impegnati nel volontariato, le facce degli amici sfollati all’estero che non vogliono nient’altro che tornare a casa. Nella casa che hanno ideato e costruito senza l’invasore. Tutti loro, i miei genitori e i miei amici, sono sempre stati importanti per me, ma ora sono ancora di più indispensabili per il mio essere.

Prendo sul personale ogni allarme antiaereo che suona e tutti i danni provocati dai bombardamenti. Sento come diminuisce, come si stringe, la mia terra a ogni avanzamento dell’esercito russo. Quello spazio che ho sempre considerato mio, dove sarei potuta sempre tornare, dove non faccio errori linguistici e dove capiscono tutti perché in casa non si fischietta (gli ucraini non fischiettano in casa per scaramanzia). E poi sento respirare ogni centimetro riconquistato dall’esercito ucraino, perché ogni centimetro significa case liberate, donne, bambini e anziani salvati.

I giorni passano con il costante pericolo che tutto il bagaglio di memoria che porto sulle mie spalle possa scomparire. Che possano rompersi le spalline dello zaino, lasciando la mia schiena scoperta. Che non ci sarà questo sacco da aprire alla ricerca di un ricordo che possa confortarmi. Io sono ancora privilegiata, perché questo zaino negli ultimi sette anni, da quando vivo in Italia è stato riempito anche di altre emozioni. Ora continuo a ospitare gente del mio paese che come zaino ha davvero uno zaino con tre cose necessarie. Come si fa a far stare una vita dentro un solo zaino? Una mia amica scoppia in lacrime davanti alla mia libreria con la foto dei miei nonni sullo scaffale. Anche lei ha una foto dei nonni su una libreria simile, comprata all’Ikea, un ricordo famigliare che potrebbe rimanere per sempre sotto le macerie dei bombardamenti russi. Per ora la sua casa c’è ancora, come tante altre che aspettano il ritorno dei loro proprietari.

Il mio cuore ora ha la forma della casa bombardata in mezzo nella città di Borodyanka, dove alla parete a malapena si regge l’anta di una cucina e dove di recente è stato salvato un gatto. Forse anche nel mio cuore qualche gatto si salverà alla fine.

Avendo un cuore così bucato non posso prendere che sul personale tutti i commenti che sento nei bar di chi dice «se fossi io Zelensky, mi sarei arreso subito», o la continua presenza sui canali televisivi italiani dei propagandisti russi, o le domande, tutte le stesse, che mi fanno ormai da più di due mesi sul battaglione Azov, sullo sterminio dei russofoni nel Donbas, sugli stupri delle donne e dei bambini ucraini, se sono veri o no. E ora c’è anche «armare l’Ucraina, ma non troppo». A sentire tutto questo immagino di trovarmi nella folla dei giornalisti che intervistano Conte all’uscita di Palazzo Giustiniani, e mi immagino con quel cuore bucato. Ma quando pronunciano quelle parole, né Conte né Salvini immaginano me, ucraina.

X