«La Russia ha esortato l’Occidente a impegnarsi in un dialogo onesto. Tutto invano. La Nato non ha voluto ascoltarci: erano in corso i preparativi per un’altra operazione punitiva nel Donbass e un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea». Le menzogne di Vladimir Putin per giustificare la sua guerra, la sua inopinata e sconsiderata invasione dell’Ucraina, arrivano direttamente dalla parata per il Giorno della Vittoria in ricordo della fine della Seconda guerra mondiale. Un evento che non aveva mai avuto tanta visibilità in tutto il mondo come quest’anno.
La cerimonia è stata un’occasione per il Cremlino per fare sfoggio della propria potenza militare, con molte delle armi utilizzate in Ucraina che hanno attraversato la Piazza Rossa. Hanno sfilato 11mila ufficiali, carri armati sovietici e lanciarazzi: in tutto c’erano oltre 130 mezzi, poi ufficiali, sergenti, cadetti, membri del movimento giovanile Yunarmiya, unità del ministero delle situazioni di emergenza, della Guardia nazionale russa e agenti dell’Fsb.
Una dimostrazione di forza che vorrebbe nascondere le enormi difficoltà dell’esercito russo dal 24 febbraio a oggi.
Mosca ha subito gravi perdite poiché si è trovata a combattere la fiera resistenza ucraina, certo. «Ma gli errori sono anche dietro le linee del fronte – un fallimento meno visibile nel fornire e mantenere le truppe sul campo ha gravemente ostacolato i piani di invasione di Mosca, secondo le valutazioni dell’intelligence occidentale», scrive il Wall Street Journal.
Non essendo riuscita a conquistare la capitale Kiev, la Russia sostiene che concentrerà i suoi sforzi militari su quello che è diventato il suo obiettivo principale, cioè l’area della «liberazione del Donbass» nell’est del Paese.
Da quando hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio, le forze russe sono riuscite a catturare solo una grande città, Kherson, cui si aggiungono le rovine di Mariupol e, appunto, alcune aree del Donbass. Un magro bottino arrivato al costo di 15mila soldati russi morti, cioè più di tutte le perdite sovietiche in un decennio di guerra in Afghanistan.
«L’invasione è stata chiaramente un fiasco, ma quanto di questo è dovuto alle scarse capacità militari della Russia?», si chiede l’Economist.
Fin dall’inizio della guerra si parla dell’enorme sproporzione tra le forze russe e quelle ucraine, di un confronto impari come Davide e Golia. Le agenzie di intelligence americane stimavano che Kiev sarebbe caduta in pochi giorni. Alcuni funzionari europei pensavano che potesse resistere solo per alcune settimane. Sono passati due mesi dall’inizio dei combattimenti e la capitale non è mai caduta.
Dopo le difficoltà iniziali, l’esercito russo ha scelto di entrare nel secondo Paese più grande d’Europa da diverse direzioni, dividendo le sue risorse in molte sezioni separate, inefficaci e isolate.
«Le cattive tattiche hanno aggravato la cattiva strategia: armature, fanteria e artiglieria hanno combattuto le proprie campagne disconnesse. I carri armati che avrebbero dovuto essere protetti dalla fanteria a piedi invece vagavano da soli, solo per essere catturati in agguati ucraini. L’artiglieria, colonna portante dell’esercito russo dai tempi dello zarismo, sebbene diretta con ferocia verso città come Kharkiv e Mariupol, non poteva sfondare le linee ucraine intorno a Kiev», si legge sull’Economist.
L’inesperienza ha giocato un ruolo determinante: la Russia non aveva un ruolo di primo piano in una guerra di questa portata, e contro un esercito così organizzato, da quando ha tolto la Manciuria al Giappone. Era il 1945.
La scala del conflitto non è un dettaglio marginale. Molte armi messe in campo da Mosca nel Donbass e in Siria negli ultimi anni, come l’utilizzo di sensori elettronici sui droni per fornire feedback ai bersagli dell’artiglieria, si sono rivelate poco efficaci negli ultimi due mesi.
Poi ovviamente entra in gioco anche la componente umana. Tutti gli eserciti commettono errori, alcuni più di altri. E i buoni eserciti, si dice, sono quelli che imparano rapidamente dai propri errori. Mentre la Russia mostra segni di adattamento molto lenti rispetto al procedere del conflitto.
Di contro, va sottolineato che i molti problemi della Russia sono dovuti anche all’eroica resistenza dell’Ucraina, sostenuta ovviamente dagli aiuti – di armi e intelligence – occidentali.
«Ma la frantumazione delle illusioni russe risiede in un fenomeno noto da tempo ai sociologi militari: gli eserciti, nel complesso, riflettono le qualità delle società da cui emergono e lo Stato russo si basa su corruzione, bugie, illegalità e coercizione», ha scritto Eliot Cohen della Johns Hopkins University. Tutte queste criticità sono emerse una ad una durante il conflitto.
La corruzione aiuta a spiegare ad esempio perché i veicoli russi erano equipaggiati con pneumatici cinesi di bassa qualità e si sono ritrovati bloccati nel fango ucraino. Potrebbe spiegare perché così tante unità russe si sono ritrovate senza radio crittografate e sono state costrette a fare affidamento su civili insicuri o persino su reti di telefonia mobile ucraine.
La parata di ieri, dunque, vorrebbe essere un’esaltazione della forza militare russa. Una forza sicuramente pericolosa, mortale e in grado di creare problemi ancora a lungo, ma non valorizzata da un esercito e una classe dirigente incapace di sfruttarne tutte le capacità.
Il 9 maggio, per il Cremlino, è soprattutto un momento dal grande valore simbolico, che vorrebbe accomunare le vittorie dell’Unione sovietica nella Seconda guerra mondiale con l’invasione dell’Ucraina, nella speranza di glorificare il passato e rinvigorire l’esercito e il popolo del presente.
Ma il disegno non procede secondo i piani. «Nella speranza di trasformare quest’anno in un trionfo, Putin sembra essere arrivato al punto di pianificare l’operazione militare ucraina in modo che si concludesse per le celebrazioni che intendeva tenere a Kiev, come rivela il ritrovamento di abiti da parata in furgoni abbandonati truppe russe», scrive Le Figaro.
Questa ossessione per il 9 maggio in realtà non è sempre esistita. Anzi, lo stesso Stalin vi rinunciò molto presto, temendo di dare troppo lustro ai suoi generali e in particolare al popolarissimo Georgi Joukov, di cui temeva il carisma.
Il nuovo culto della Grande Guerra Patriottica è tornato più forte nei decenni successivi, quelli più caldi della Guerra Fredda, ma si è indebolito di nuovo nel corso degli anni ’80.
«Con l’invasione la Russia spera di rievocare una sorta di surreale ritorno al passato, con Putin che crede di essere nel 1991, di poter cancellare gli ultimi trent’anni come se non fossero accaduti. Questo irrealismo porta al disastro», si legge su Le Figaro. Un disastro a cui si può rimediare solamente rinunciando a queste parate di puro populismo e a dimostrazioni muscolari senza esito, sostituendole con i valori democratici che in Russia vengono continuamente rimpiccioliti.