Non riesco ad appassionarmi al dibattito attorno all’allarme lanciato dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti a proposito di propagandisti russi e figure apparentemente indipendenti, ma anche loro al soldo del Cremlino, che avvelenerebbero la nostra opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione. Non ho nessuna intenzione di partecipare alla solita campagna di autodifesa della corporazione contro le presunte ingerenze della politica, ma fatico anche a scandalizzarmi per l’ipotesi che un certo numero di giornalisti, intellettuali e cabarettisti prenda dei soldi per fare quello che la maggior parte di loro fa comunque gratis.
Se domani si scoprisse che l’80 per cento dei nostri opinionisti è a libro paga del Cremlino, personalmente, troverei la notizia molto rassicurante. Ma mi sembra un’ipotesi improbabile, e decisamente antieconomica.
Fossi un consigliere di Vladimir Putin, suggerirei anzi un’immediata spending review, controllando attentamente fatture e note spese relative all’avvelenamento del dibattito pubblico italiano, perché la mia impressione è che eventuali agenti del regime qui abbiano ben poco da fare. Facciamo tutto da soli, da anni.
L’attuale convergenza di Giuseppe Conte e Matteo Salvini è solo l’ultima conseguenza del crescente impatto di una campagna di opinione troppo larga e troppo diffusa per essere attribuita all’opera di qualche oscuro manovratore. Al contrario, la vera anomalia è stata la breve fase dell’unità e della serietà con cui tutte le forze politiche hanno affrontato l’inizio della guerra in Ucraina.
Il ritorno dell’asse gialloverde è semplicemente la tendenza naturale della politica italiana di oggi. Il voto del 2018 ha eletto un Parlamento per oltre due terzi ostile ai principi fondamentali della democrazia liberale, a stragrande maggioranza antioccidentale e antieuropeista, tra seguaci di Trump, ammiratori di Putin e amici di Orbán.
Il fatto che questo stesso Parlamento, attraverso il Copasir, denunci oggi il rischio di un’influenza indebita da parte di Putin sulla politica italiana può essere preso come un improvviso segnale di resipiscenza o come l’ennesima dimostrazione di un’ipocrisia di fondo, di sicuro però non può essere preso sul serio. Tanto meno nel momento in cui il partito di maggioranza relativa non riesce a trovare nelle sue file un parlamentare cui far presiedere la commissione Esteri che non abbia già pubblicato in un libro le tesi che il Copasir denuncia come veline di una potenza ostile.