In fuga dalla guerraPerché si è creata la rotta balcanica dei migranti

Un estratto da “Capire la rotta balcanica” di Marco Siragusa, Luigi Tano, Lorenzo Tondo, un’analisi di uno dei fenomeni più delicati degli ultimi anni, una dinamica conosciuta ma non compresa fino in fondo: il racconto di cosa accade quando l’ospitalità viene meno, o viene addirittura criminalizzata, e quando mancano vie legali per accedere ad ambienti sicuri nei Paesi dell’Unione europea

AP/Lapresse

Tra il 2019 e il 2020, l’alto rischio di mortalità nelle rotte via mare, la lentezza nelle procedure di accoglimento delle richieste d’asilo, il sovraffollamento nei centri di accoglienza hanno contribuito a trasformare la rotta balcanica in un gigantesco crocevia di richiedenti asilo provenienti dalle più disparate aree del globo. Molti dei migranti che vivono oggi in Serbia e in Bosnia arrivano ad esempio dai campi della Grecia.

Nel 2019, dopo che i conservatori del partito Nuova Democrazia sono tornati al potere ad Atene, il nuovo governo ha introdotto più controlli e vincoli per i richiedenti asilo, adottando una linea decisamente più dura sull’immigrazione. Durante l’estate 2019, Atene ha ritirato la carta per l’assistenza sanitaria ai cittadini non europei, impedendo così di fatto ai migranti di accedere al sistema sanitario greco. Subito dopo, il Parlamento ha approvato una nuova controversa legge che ha modificato l’effetto sospensivo dei reclami e ricorsi al rigetto delle istanze di asilo. L’obiettivo era quello di velocizzare le domande.

Il risultato è stato un inevitabile aumento di migranti considerati “irregolari”, che non hanno avuto altra scelta che quella di uscire dall’Unione Europea e provare a rientrarvi dalla rotta balcanica, verso paesi con regole sull’accoglienza più flessibili.

Tra le famiglie afghane di Bosanska Bojna, c’era quella di Zohra, avvocato di trentatré anni di Kabul, fuggita dall’Afghanistan insieme al marito e ai suoi quattro figli. Ne aveva un quinto, morto in un attentato bomba nel 2016, durante il Ramadan. Aveva solo sette anni. La sua gemella, Nourin, rimase paralizzata su un lato del corpo, mentre Zohra porta ancora oggi i segni delle ustioni che le hanno deturpato buona parte dell’addome.

Nel 2018 avevano finalmente raggiunto la Grecia. Vivevano nel sovraffollato campo di Moria. Zohra aveva anche trovato lavoro come mediatrice culturale per Medici senza Frontiere(381). Tuttavia, dopo quasi due anni, la loro richiesta d’asilo è stata rigettata. Zohra e la sua fa miglia non avevano altra scelta: dovevano riprovarci. Così, dopo ventiquattro mesi trascorsi nell’inferno di Moria, si sono rimessi in cammino sulla rotta balcanica, lasciandosi alle spalle un pezzo di Unione Europea che si era rifiutata di accoglierli.

Sono esattamente storie come queste che, insieme alla violenza perpetrata dai poliziotti europei di frontiera contro i migranti e alle migliaia di morti in mare, scatenano nuove crisi e nuove rotte verso l’Europa. Già prima del picco della crisi dei migranti del 2015, il fenomeno migratorio rappresentava uno dei temi principali con cui i partiti di governo europei guadagnavano o perdevano consensi. I populisti e l’estrema destra ne hanno fatto un punto di forza dei loro programmi politici, cavalcando le ansie e le paure dell’opinione pubblica nei confronti del “diverso”.

L’Unione Europea, ben lontana dall’idea dei suoi padri fondatori, è stata e rimane la somma di interessi nazionali e visioni politiche diverse, spesso contrapposti a quelle dei vicini. Non c’è nulla al mondo che spaventi di più i popoli che abitano gli stati membri di una fantomatica invasione di cittadini stranieri. In termini di consensi, le politiche anti-immigrazione pagano molto più delle manovre finanziarie volte a creare più posti di lavoro.

Questo le destre lo sanno bene, ma lo sanno bene anche i paesi confinanti con l’Unione Europea, che nel corso degli anni hanno utilizzato i richiedenti asilo come arma di ricatto nei confronti di Bruxelles. Forte dei milioni di rifugiati presenti in Turchia, inevitabile crocevia tra il Medio Oriente e l’Europa, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ha trasformato le crisi umanitarie afghane e siriane in una straordinaria risorsa economica e politica, o meglio in uno strumento di ritorsione con il quale ottenere fondi da parte dell’Unione Europea. Il ricatto è semplice: «Se non volete i migranti, pagatemi».

Estratto tratto da “Capire la rotta balcanica” di Marco Siragusa, Luigi Tano, Lorenzo Tondo a cura di Martina Napolitano. Capitolo 4. IDENTITÀ di Lorenzo Tondo. Bottega Errante Edizioni, pp. 144, 16,00 euro, 2022.

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