Qualche anno fa ero a un convegno a Dublino e, tra le lezioni sull’impollinazione e sulla zanzara anofele, mi sono ritagliata un po’ di tempo per visitare il Museo Nazionale d’Irlanda. Adoro i musei e in quello di Dublino è particolarmente interessante la sezione di storia naturale: teche d’insetti raccolti da Darwin in persona, uno scheletro di megalocero con palchi più ampi di quanto non sia alta io – un triste vestigio di una specie estinta – e centinaia di delicatissimi modelli vitrei d’invertebrati marini, creati nell’Ottocento dai Blaschka, padre e figlio, mastri vetrai. Sono stati pensati per un uso didattico, perché alcionacei e anemoni di mare sono assai difficili da mostrare a lezione: sotto formalina tendono a ridursi a un grumo informe e incolore sul fondo del vaso. Perciò i Blaschka hanno prodotto migliaia di queste complesse opere d’arte, che hanno poi venduto a musei, scuole e università del mondo intero.
I modellini Blaschka che si sono conservati sono un spettacolo. Ma a darmi davvero un brivido lungo la schiena è stato il rinoceronte imbalsamato: un rinoceronte senza corni. Al loro posto c’erano due buchi nella pelle scura, e sotto si vedeva una ruvida tela di cotone biancastra. Accanto all’animale mutilato c’era una targa con la quale il museo si scusava per l’asportazione dei corni e spiegava che era stata resa necessaria dal rischio di furto.È assai diffusa la convinzione – del tutto infondata – che la polvere di corno di rinoceronte abbia favolose proprietà medicinali. Peccato che sia semplice cheratina, la stessa sostanza che compone le nostre unghie. In tutto il pianeta c’è un intenso commercio illegale di questi corni, a opera di persone senza scrupoli, per le quali il bracconaggio, la razzia dei musei e il contrabbando su larga scala sono all’ordine del giorno.A quanto pare, né i venditori né i compratori si lasciano frenare dal fatto che il loro prodotto sia ricavato da una specie in procinto di scomparire dalla faccia della Terra. Per sempre.
Questo è un caso estremo, ma credo che esemplifichi un atteggiamento nei confronti dell’ambiente e della varietà biologica condiviso da molti, spesso in modo inconsapevole. Le rare volte in cui si pensa alla natura, la si considera come un deposito di risorse, distante e inalterabile, un luogo separato da noi umani e dalla nostra vita quotidiana fatta di comodità, un centro servizi al quale attingere senza limitazioni. Dalla natura ci aspettiamo prestazioni d’opera senza restrizioni, ogni volta che ci va, e quando non ne abbiamo bisogno ci comportiamo come se non ci riguardasse. Ebbene, non è così. Tutti noi siamo con tessuti nel grande arazzo della natura, in modo più intimo di quanto non si creda. La natura, con il suo enorme numero di organismi, per quanto piccoli e poco visibili, è ciò che ci sostenta e che tiene in piedi la nostra vita, perfino nella quotidianità moderna e urbana. Il pianeta brulica di specie biologiche.
Attualmente abbiamo dato un nome a circa un milione e mezzo di esse, ma sappiamo che ce ne sono molte di più: forse addirittura dieci milioni in totale (e perfino di più, se includiamo anche i microrganismi). Buona parte di esse è ben lontana dalle dimensioni di un rinoceronte e se non abbiamo visto queste creature, è proprio perché sono piccolissime e vivono in luoghi nei quali il nostro occhio non arriva: stanno nascoste nelle profondità della terra, o tra le fibre di legno di un albero morto, o nell’acqua salata dei mari. Eppure, se siamo vivi, è proprio grazie a questa moltitudine di organismi anonimi. Quando il primissimo essere umano ha cominciato a camminare su due gambe, erano già in azione da parecchio tempo, ma noi abbiamo sempre sottovalutato questo loro incessante lavoro. Sulle spalle della natura: servizi ecosistemici. Negli ultimi anni, la scienza si è arricchita di termini che dovrebbero servire a rendere più chiaro il modo in cui la natura, in tutta la sua brulicante varietà, contribuisce al nostro benessere.
Si parla dunque di servizi ecosistemici, dirisorsenaturalio, in inglese, dincp, ossia Nature’s Contributions to People. Chiamiamolo come vogliamo, il concetto non cambia: tutte e tre le etichette indicano ciò con cui la natura viva provvede in modo diretto e indiretto all’esistenza della specie umana e alla sua prosperità. Ossia, tutte le belle cose che ci dona.Questo insieme di cose non ha soltanto vari nomi, ma offre anche diverse possibilità di catalogazione. Un criterio molto usato è quello di suddividerlo in servizi di produzione, servizi di regolazione e servizi culturali (se decidiamo di parlare della natura in questi termini, ossia in base alla sua utilità per noi, troveremo anche il rovescio della medaglia, ossia i disservizi come, per esempio, la diffusione del polline che è un problema per chi soffre di allergie).
Se volessimo definire queste categorie in modo un po’ più comprensibile, potremmo dire che i servizi di produzione sono quelli per i quali la natura funziona come un emporio d’altri tempi, o come una farmacia, cioè un negozio nel quale si trovano tutti i prodotti che occorrono: bevande – acqua pulita, per esempio – alimenti, fibre tessili, energia e materie prime per l’industria, essenze di base per fabbricare medicinali. I servizi di regolazione, invece, sono quelli per i quali la natura si comporta come una laboriosa bidella addetta alle pulizie e al riciclo: si assicura che l’acqua, la terra e la neve stiano dove devono stare, e che le temperature non facciano le bizze. Alcune di queste funzioni sono fondamentali per la vita sul pianeta, e possiamo considerarle come i fili dell’ordito che reggono l’arazzo biologico.
Tra esse ci sono i grandi cicli dell’acqua e delle sostanze nutritizie. Infine ci sono i servizi culturali, quelli per i quali la natura funge da fonte di conoscenza, estetica e pratica. Studiando i suoi “archivi” – per esempio le torbiere o i cerchi dei tronchi – troviamo notizie sul passato. Da lei possiamo trarre ispirazione, idee, soluzioni. Per molti, inoltre, la natura è come una cattedrale, un luogo di raccoglimento o di contemplazione, senza necessariamente attribuirle un valore religioso.
Da “Nelle mani della natura. Come dieci milioni di specie ci salvano la vita”, di Anne Sverdrup-Thygeson, ADD Editore, pagine 287, euro 18,00