Il cacciavite mezzo pienoL’incomprensibile prudenza del Pd sul tentativo di costruire l’area Draghi

L’attitudine rinunciataria di Enrico Letta e la mancanza di visione necessaria a costruire cose nuove, magari con gli antipopulisti anziché con i populisti

Roberto Monaldo / LaPresse

Il «bicchiere mezzo pieno» evocato da Enrico Letta su Repubblica per valutare il contrastato risultato sul “Fit for 55” disegnato per ridurre le emissioni nocive del 55% entro il 2030, è una perfetta metafora non vorremmo dire del “lettismo” ma sicuramente di un Pd che, per usare una vecchia frase di Giorgio Napolitano, resta sempre «in mezzo al guado».

Non c’entra qui ricordare che il miglior riformismo punta a risultati parziali, a graduali avanzamenti, a miglioramenti pur limitati, e non si vuole ora entrare nel merito della decisione europea che pure ha fatto risaltare un dissenso tra i dem e il governo italiano e tra i dem stessi; piuttosto si vuole dire che il Pd esita sempre, e infine rinuncia, a fare politica in grande, persino, diciamo così, a sorprendere con qualcosa di più forte del «bicchiere mezzo pieno», non scattando mai in avanti, assiso nel compiacimento del suo andamento lento che rischia puntualmente di essere superato dalla storia.

Stando così le cose, è proprio il Pd a frenare, a gestire senza innovare, restando sempre al di qua dell’invenzione di qualcosa di inedito. Insomma, quello che si lamenta anche in aree magari minoritarie ma importanti del partito – dove ieri si è criticato l’«estremismo ambientalista» del segretario – è l’incapacità di lavorare per un terreno più avanzato, fuor di metafora, di assumere una iniziativa sfidante per sé e per gli altri. Dinanzi alla prospettiva, pur ancora poco precisata, di un’ “area Draghi” evocata da Matteo Renzi e alle richieste, di Renzi e Carlo Calenda, di mettere un punto alla ex alleanza strategica con i grillini, il gruppo dirigente del Pd semplicemente non si pone il problema, evidentemente giudicando, con una Realpolitik che tale non è, che Giuseppe Conte porti ancora in dote un 15% e i “draghiani” meno del 5.

A parte che questi numeri sono tutti da dimostrare (vedremo se domenica 12 il M5s arriverà al 7-8%) è anche vero che le cose cambiano, i processi si innescano, le fasi nuove si preparano. A meno che Letta non pensi che il cartello Pd-M5s-LeU possa battere la destra – oggi queste forze sommate a occhio non superano il 35% – risulta perciò indispensabile occuparsi di “cosa succede in città”, nell’area che il leader di Italia viva ascrive sotto il segno delle idee di Mario Draghi, la figura politica che in questo anno ha determinato l’appannamento dei populisti gialloverdi.

Né può valere, per giustificare la propria inerzia, l’indeterminatezza di certi discorsi di Renzi e Calenda o la stucchevole competition tra i due: alla fin fine, in politica nessuno ha il diritto di sequestrare un’idea politica importante, e quella di un contenitore draghiano lo è. Che ne pensa il Pd? Come pensa di valorizzare e magari rilanciare prima e dopo il voto quella che comunemente si definisce l’agenda Draghi, che probabilmente sarebbe l’arma più forte per fronteggiare i populisti e la destra?

Il punto è capire, come abbiamo scritto e come ha criticamente argomentato il direttore de Linkiesta, che piano piano qualcosa si muove, e che mentre questo mare si agita positivamente, e magari trova altri protagonisti – nulla è da escludere, nemmeno un “Papa straniero” magari milanese – la risacca del Nazareno va lentamente avanti e indietro sulla spiaggia umida. Il problema evidentemente non è solo del segretario del Pd, un leader che quando vuole sa essere molto coraggioso come sta dimostrando sul tema della difesa della democrazia in Ucraina e in Europa in un partito dove alligna tuttora un certo sentore anti-americano, ma di tutto un gruppo dirigente che pare essere sempre con la testa altrove – ci si perdoni la franchezza: al modo con cui mantenere il proprio ruolo – e perennemente impaurito che una discussione possa provocare chissà quali sconquassi interni.

Sicché una vero confronto interno sulla strategia il Pd non lo svolge da anni, a parte l’obbligato punto della situazione dopo la fuga di Nicola Zingaretti con quel primo discorso in cui Letta diede l’impressione di voler aprire una pagina nuova salvo poi corteggiare l’avvocato del popolo esattamente come faceva il suo predecessore. Eppure, tra il draghismo e il contismo bisognerà infine scegliere da che parte stare. Il quieto vivere del Nazareno stride con l’urgenza dell’indicazione politica più chiara e più coraggiosa. Mentre tutto il mondo cambia, la retorica del “bicchiere mezzo pieno” non è solo noiosa, può essere politicamente mortale.

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