Il disastro nascostoLa situazione italiana è così grave che se aumentano gli occupati i salari diminuiscono

A causa della bassa produttività le remunerazioni degli ultimi anni sono rimaste al palo. Ma come insegna il caso spagnolo, se crescono le persone impiegate non aumenta la ricchezza prodotta ma ci si deve, ancora di più, suddividere la torta in fette più piccole

di Jackson Simmer, da Unsplash

La coincidenza tra l’esplosione dell’inflazione, mai così alta dagli anni ‘80, e l’aggravamento del problema della carenza di personale in tanti settori ha riportato in primo piano un tema che in realtà non è per nulla nuovo: quello del livello dei salari, in Italia sempre più lontani da quelli degli altri Paesi industrializzati. Siamo l’unica realtà in cui, dal 1990 a oggi in termini reali, gli stipendi sono diminuiti. Persino la Grecia, grazie alla fase di benessere (in parte artificiale) degli anni ’90 e 2000, ha fatto meglio di noi in questo lasso di tempo.

La pressione sui salari, quindi, non è mai stata così alta. Se non aumentano ora quando? Ma il timore che nulla cambi, che rimangano fermi, nonostante tutto, è forte.

Il motivo, è stato detto in mille salse, non risiede nell’incapacità di chi lavora o nell’insensibilità degli imprenditori, ma nella stagnazione della produttività, comunque la vogliamo misurare.

Se, per esempio, utilizziamo come metro il Pil generato per ogni lavoratore negli ultimi 30 anni, l’unico periodo di crescita è stato negli anni ’90, cui è seguito un lento declino, ancora più grave considerando che è coinciso con i progressi che quasi ovunque venivano fatti.

Così nel 2021 il Prodotto Interno Lordo per occupato risultava aumentato in Italia solo dell’8,1% rispetto al 1991, mentre in Germania era salito del 24,3% nello stesso periodo e nel Regno Unito di più del 40%. Se a essere considerati sono solo gli ultimi 10 anni, la situazione è ancora più nera. Il Pil per lavoratore risulta sceso del 3,8% nel nostro Paese, e la riduzione ha solo parzialmente a che vedere con il Covid, il segno meno era già visibile nel 2019. Altrove, solo segni più.

Dati Ocse in dollari costanti 2015

Chiaramente vi sarà chi dirà che il rapporto causa/effetto è inverso: cresciamo poco perché non aumentano i salari, e quindi la domanda. E vi sarà chi farà notare la discrepanza tra un incremento, seppur leggero, della produttività negli ultimi 30 anni e il calo dei salari reali.

Tale divario c’è, è innegabile, anche se è molto inferiore a quello presente negli Usa, ma si è verificato sostanzialmente solo negli anni ’90. Negli ultimi 20 anni stipendi e produttività sono andati di pari passo, ovvero molto male.

Quello di cui invece pochi parlano – neanche coloro che sono più sensibili ai temi del lavoro – è l’occupazione. Intesa come numero di lavoratori, come percentuale di quanti hanno un impiego.

Eppure si tratta di un argomento strettamente collegato a quello dei salari e della produttività.

Il fatto è che le cose sono andate male nonostante la quantità di occupati non sia cresciuta, se non dell’1,1% (+6,6% la media Ue), e il numero di ore lavorate per ognuno di essi sia diminuito più che negli altri Paesi negli ultimi 10 anni, del 5,9%.

Dati Ocse

Questo ci fa capire che la situazione dell’Italia è ancora più grave di quello che pensiamo. Le fette della torta, insomma, sono rimaste piccole nonostante i commensali non siano aumentati come altrove.

È illuminante il confronto con quello che è il Paese più simile al nostro dal punto di vista economico, la Spagna.

Anch’essa non ha avuto risultati esaltanti, seppur migliori dei nostri: il suo Pil per lavoratore è sceso in 10 anni del 0,8%, mentre negli ultimi 30 è aumentato del 16,9%: comunque meno che in Germania, Francia, Regno Unito.

Tuttavia, a differenza di quello che è accaduto in Italia, questo è successo anche perché nonostante la torta si sia ingrandita anche i commensali che se la sono divisa sono cresciuti.

L’incremento degli occupati è evidente qualsiasi sia il termine di paragone, anche gli ultimi 10 anni di crisi: in Spagna sono aumentati del 5,2%, in Italia solo dell’1,11%.

Dati Ocse, numero di occupati in valore assoluto e aumento percentuale

Forse il tema viene rimosso anche per questo. Consciamente o meno, in tanti si rendono conto o intuiscono che se riuscissimo ad andare oltre il bassissimo tasso di occupazione che ci ritroviamo, inferiore al 60%, la maggiore concorrenza tra i lavoratori, con questo livello di produttività, si tradurrebbe in realtà in un calo dei salari in molti settori.

I settori, appunto. Si tratta di un altro tema di cui si discute poco, eppure anche in questo caso dovrebbe essere centrale. Il motivo è che negli ultimi 10 anni tendenzialmente abbiamo assistito a un aumento dell’occupazione proprio in quei comparti in cui la produttività, qui intesa come valore aggiunto per occupato, è cresciuta meno, o è diminuita.

Così nel macro settore delle attività professionali e scientifiche, in cui stanno consulenti e grafici, avvocati e architetti, il numero dei lavoratori è aumentato del 15,4%, molto più del valore aggiunto complessivo, tanto che quest’ultimo, diviso per gli occupati, è sceso del 14,9%.

Dati Ocse in dollari costanti 2015 PPP

Se viceversa là dove veramente la produttività è riuscita a crescere (e quindi i salari sono potuti aumentare) come ad esempio nella manifattura, lavorano però meno persone, si capisce perché in generale gli stipendi rimangono al palo.

Vi è il grande problema dei servizi, più o meno avanzati, che, a differenza dell’industria, non riescono a generare valore, e nonostante questo assorbono sempre più manodopera, che per forza di cose si ritroverà a essere malpagata. È un grande tema, che coinvolge anche quei comparti, come l’ICT, che altrove vedono incrementi della produttività, ma in Italia no.

Dati Ocse, valore aggiunto in dollari costanti 2015 PPP, remunerazione in dollari correnti

Insomma, siamo di fronte, tra le altre cose, a un’ulteriore conseguenza di quel mismatch delle competenze che dalla scuola in poi fa tanti danni a livello strutturale. Non solo rende più difficile un aumento dell’occupazione, favorendo l’inattività, ma rende inefficiente anche la distribuzione dei lavoratori tra i settori, affollando quegli ambiti, come una parte importante dei servizi, che non producono molto valore aggiunto.

E d’altronde, lo abbiamo visto, se vi fosse un incremento del numero degli occupati almeno all’inizio comporterebbe un calo degli stipendi in alcuni segmenti.

Questo vuol dire che dobbiamo evitare di migliorare il capitale umano italiano, un asset così poco sfruttato? No, anzi, significa probabilmente che vi è un ulteriore motivo per investire, per rafforzare finanziariamente le imprese, soprattutto quelle dei servizi, per incentivare la loro aggregazione.

Perché l’auspicabile maggiore offerta di lavoro incontri un mercato che crei sufficiente valore per assorbirla, che sia in grado di ingrandire la torta così tanto da poter aumentare anche le dimensioni delle fette. Come non avviene da 20 anni.

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